Politica

Esteri su esteri

L’Unione europea sia più presente nella politica estera e l’Italia usi il semestre di presidenza affinché non si parli solo di economia, ma anche del ruolo europeo nei fronti caldi delle crisi e dei conflitti mondiali. Questo il pensiero del presidente della Repubblica. Dato che è stato espresso in un’intervista, quindi in un atto ufficiale ma non canonico (secondo la Costituzione il Quirinale si rivolge al Parlamento, quindi alla politica, mediante messaggi specificamente indirizzati), non è del tutto chiaro se si tratta di una presa di posizione con immediate implicazioni istituzionali o un auspicio, con mediata messa in mora del governo. In ogni caso è una tesi corposa, che merita una riflessione attenta.

L’economia e la politica estera non sono temi separabili. Inutile auspicare che la diplomazia sia maggiormente capace di risolvere o prevenire i conflitti, se a quella non si da la credibilità di una adeguata forza militare. Siccome l’Ue investe in difesa assai meno degli Usa, e siccome gli americani hanno, per dirla leggera, perso presa in diversi scacchieri, avere una politica estera più credibile significa predisporre una spesa maggiore. Se non hai i soldi, o se i soldi li trovi prendendoli in prestito da quelli stessi che dovresti contenere, l’esercizio si riduce a mera retorica.

Se questo è relativo all’Ue (nessun singolo Paese europeo avrebbe la forza di giocare in proprio, il che vale per il militare e la politica estera come per l’economia), ci sono problemi che riguardano direttamente l’Italia. Ne ricordo quattro, a titolo d’esempio. 1. Quando ci si è avviati verso una maggiore diversificazione dell’approvvigionamento energetico, il che coinvolge sia la politica estera che l’economia, quando il gas russo s’è sommato a quello che importiamo dal nord Africa, ciò ha prodotto frizioni con alcuni alleati. Barak Obama ha esplicitamente sollecitato gli europei a prendere il “nuovo” gas americano, piuttosto che quello russo. In quel frangente il sistema-Italia s’è dimostrato fragilissimo. Non sto qui a ripercorrere le vicende e le tappe specifiche, né le responsabilità di ciascuno (tutti), sta di fatto che mentre la Germania ha gestito il contrasto, anche perché un cancelliere cristianodemocratico s’è trovato a lavorarci assieme all’ex cancelliere socialdemocratico (prima dell’attuale grande coalizione) l’Italia è tornata all’antica tradizione dei comuni: ciascuno invocando l’aiuto straniero per far fuori il signore del campanile più vicino. Che ci fosse un prevalente interesse nazionale non è sembrato, in quella stagione, trattenesse o preoccupasse nessuno.

2. Sempre in campo energetico, abbiamo subito la guerra che francesi e inglesi hanno scatenato contro il governante libico. Il quale di suo non era certo un damerino, ma è stato abbattuto non quando il terrorismo lo finanziava a praticava, ma quando lo avversava. Il risultato è stato il caos nell’area, il crescere della violenza, il non controllo degli schiavisti che commerciano in migranti, nonché un colpo ai nostri interessi petroliferi. Non ricordo che la cosa sia stata al centro di alcun dibattito, mentre fioccavano foto e storielle destinate a imbarazzare chiunque obiettasse che il tirannicidio non spianava la strada a nulla di ammirevole. 3. I marò si trovano ancora in India per una vicenda che sta a cavallo fra gli affari e la politica estera. Si poteva affrontarla e provare a risolverla in diversi modi. Compreso, sia detto cinicamente, quello di privilegiare gli affari. Invece il sistema-Italia ha dato il peggio di sé, compreso un Quirinale che li ricevette manco fossero eroi di guerra e poi tacque acconsentendo a una masochistica restituzione. Neanche gli affari si fanno bene, quindi neanche l’economia si serve adeguatamente, se tanta imperizia e non credibilità viene profusa nella gestione della politica estera e nella difesa dei propri militari. Tenendo presente che l’Italia è uno dei paesi europei più impegnato militarmente in missioni internazionali.

4. Infine (ma solo per porre un limite agli esempi) Giorgio Napolitano dice che devono cessare gli attacchi missilistici contro Israele, che, a sua volta, deve rinunciare agli attacchi verso Gaza. Mi si perdoni: non significa nulla. Il punto di partenza deve essere chiaro: Israele è uno Stato legittimo, nonché democratico, la cui esistenza è negata da formazioni fondamentaliste, terroristiche e politiche, quindi il punto numero uno è: Israele non si tocca. Se gli europei vogliono rendere credibile questa posizione, esercitando una positiva e doverosa pressione affinché Israele non privilegi l’uso della forza, occorre che s’impedisca il finanziamento dei terroristi, proveniente anche dall’Iran e dalla Siria, e si aiutino i palestinesi che vogliono la pace e la convivenza a non dipendere dalle alleanze con Hamas, a sua volta ricca dei finanziamenti che giungono da fondamentalisti e destabilizzatori, nemici della pace e della convivenza. Come si doveva essere assai più prudenti nel favorire il crollo del governo egiziano, talché il colpo di stato militare è la sola alternativa al dominio della fratellanza musulmana.

Ciò se non si vuole che siano solo parole al vento, pronunciate per vanto. In ogni caso, quelle del presidente della Repubblica meriterebbero, per importanza e per rispetto, un serio dibattito parlamentare. Posto che sarebbe curioso farlo a proposito di un’intervista, c’è da chiedersi se, nelle more della sua variopinta e plurima riforma, la Costituzione sia ancora vigente.

Pubblicato da Libero

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