Politica

Euro e alibi

Secondo alcuni l’Unione europea dovrebbe chiamarsi “sovietica”, tanto invade il mercato e s’impiccia di minuzie. Secondo altri è un inferno di liberismo “selvaggio”. Un animale misto, che disorienta. Vale la pena abbatterlo a fucilate? Occhio alla mira e a non spararsi da sé soli.

Da europeista non sono disturbato dall’antieuropeismo. Anzi: prima erano tutti europeisti a chiacchiere (a parte i comunisti italiani, Giorgio Napolitano in testa, che erano antieuropeisti anche a chiacchiere, salvo poi pretendere di cancellarle e dare lezioni agli altri), ora, almeno, se ne discute. La faccenda è questa: viviamo la più lunga epoca di pace e prosperità, anche se va di moda dire che stiamo tutti morendo, innescata da una sana scelta di libero scambio e scomparsa di ostacoli doganali. Siamo il più ricco mercato del mondo, il che, ovviamente, non cancella i problemi. L’Europa sarebbe dovuta nascere come federazione politica, invece (lo vollero i francesi) prese corpo come federazione economica. Dopo la fine della convertibilità del dollaro c’era bisogno di un accordo sui cambi, così nacque il Serpente monetario europeo (quello contro cui i comunisti votarono, da europeisti immaginari). Ma non solo: a fare l’Europa contribuirono scelte fondamentali, come lo schieramento degli euromissili contro i sovietici. Lo facemmo noi e i tedeschi, allora governati dai socialdemocratici (e i comunisti, al solito, erano contrari).

Fu la storia a forzarci la mano, perché vincemmo noi e crollò l’Urss. Evviva. La Germania poteva essere riunificata, ma c’era il pericolo tornasse troppo potente. Francesi e inglesi posero una condizione: dovevano rinunciare al marco. Nacque l’euro. Questo è il punto: i tedeschi, che lo subirono, da quel momento si adeguarono e lo usarono per i loro interessi; gli altri, noi in testa, lo usammo per i nostri comodi. Perdevamo già prima competitività, il che poi ha prodotto più recessione e crescita dimezzata (rispetto agli altri Ue). L’euro ha portato tassi d’interesse bassi, il che avrebbe consentito la riduzione del debito pubblico. Noi lo facemmo lievitare. Le nostre imprese che esportano sono cresciute, segno che si viveva bene anche senza svalutazioni competitive (che poi erano fregature per i risparmiatori). L’inflazione è stata bassissima, in compenso nessuno controllò i prezzi interni durante il cambio di moneta. Così arrivammo all’attacco speculativo contro i debiti statali (2010-2011). Lì subimmo la mazzata: gli spread crescevano per la debolezza istituzionale dell’euro (fummo i primi a dirlo), ma li pagavamo noi. I tedeschi ci dicevano: queste sono le regole. Formalmente esatto, ma crudele e indegno (noi i debiti li abbiamo sempre pagati, loro no). Si è dovuto attendere il 2012 perché la Banca centrale europea rimediasse. Oggi i bassi tassi, che i tedeschi, finiti in minoranza, detestano, avvantaggiano prima di tutto noi. Ce ne andiamo? Mica torniamo al 1950! Semmai al 1980: inflazione sopra il 20%, debiti e tasse crescenti. O al 1991: patrimoniale per reggere cambi e conti.

I guasti dell’Ue e dell’euro li descriviamo da tempo, ma guai a non vedere che dietro la scusa “è colpa dell’Europa” c’è la viltà e l’ignavia di una classe dirigente (multicolore) incapace di risanare i conti e capace di spendere (soldi altrui) per comprare consenso. Non merita alibi. Senza vincoli ci smutandano.

Pubblicato da Libero

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