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In un tempo in cui proclamarsi europeisti va così di moda, se si vuole far si che la sovranità dell’unione sia tale è necessario affrontare alcune problematiche spinose.

Sembrano passati lustri, ma era appena ieri che si strologava di uscire dall’Unione europea, rigettarne l’austerità imposta, seppellire la globalizzazione tornando a pattugliare la frontiera. Ora sono tutti diversamente europeisti, i soldi che si spendono vengono da lì ed è la globalizzazione a provare a diffondere i vaccini dove altrimenti non ci sarebbero. Tocca a noi, europeisti e globalisti anche quando soffiava un fetido vento avverso, avvertire che non basta alzare le vele del trasformismo e della convenienza, perché i mari sono infidi e le sfide che ci attendono richiedono maestria, non sonnolenza galleggiante.

A proposito della difesa europea, di cui si parla con soave leggerezza, abbiamo avvertito che il tema rilevante è la retrostante tecnologia (oltre alla politica estera, ovviamente), il che comporta rivedere il mercato di riferimento nel condurre le politiche antitrust. Ciò comporta concentrazioni che altererebbero gli equilibri fra i Paesi componenti l’Unione europea. Temi che non si possono accantonare. Ma ci sono altre due materie ineludibili, se si vuole affermare la sola sovranità possibile, quella dell’Unione: le regole che presiedono all’armonizzazione economica e quelle relative alle istituzioni.

Tutti parlano della revisione del “patto di stabilità”, anche perché, oramai, dopo la pandemia, è fuori dalla realtà. Ma attenzione a non credere che significhi poter eliminare i vincoli di bilancio, perché sarebbe folle. Supporre di potersi giovare della diga europea contro le speculazioni sui debiti e, nel frattempo, provare a farci dei buchi è insensato. I debiti sono cresciuti, non sarebbe potuto essere diversamente, ma ora devono ridurre il loro peso percentuale sulla ricchezza che si produce (il prodotto interno lordo). Regole e vincoli ci vogliono eccome, solo che per privilegiare gli investimenti indirizzati alla crescita occorrerà essere più severi verso la spesa corrente improduttiva. Per investire e per diminuire il carico fiscale occorre tagliare. Se non è chiaro si producono posizioni politiche che danneggeranno l’Italia.

Sul lato istituzionale dovrà cambiare il cuore: la regola dell’unanimità può restare relativamente agli assetti che riguardano l’equilibrio di poteri e veti, ma deve cadere nell’operatività. Si deve potere decidere a maggioranza, come fece, in momenti delicatissimi, la Banca centrale europea. Ma questo comporta la consapevolezza che si può finire in minoranza, senza che a quel punto scatti il riflesso ebete e capriccioso del: allora me ne vado. Se così la si pensa meglio andare via subito, pagando il salatissimo biglietto d’uscita.

Entrambe le questioni contengono lo stesso nocciolo: non si può pensare di rendere più forte la sovranità europea volendo al contempo accrescere quella nazionale. Gargarismo propagandistico fuori dalla realtà. Solo che la seconda è pura illusione, mentre la prima è necessaria per contribuire a riscrivere le regole e gli equilibri della globalizzazione. Oggi abbiamo la presidenza del G20, con le positive ricadute che si sono sapute cogliere sulla questione afghana. Domani dovremo contare come Ue. Il che comporta maggiori responsabilità, ma anche maggiori opportunità geopolitiche e anche direttamente commerciali. Bene.

Ma significa entrare in un’età adulta dell’Ue, che è possibile solo con un’età adulta degli europei. Ed è necessaria una cura ricostituente democratica, ad esempio riformulando le elezioni per il Parlamento europeo sulla base di liste europee, non solo nazionali, come oggi. Ventotene e il dopoguerra sono il passato, nobile, ma passato. Il futuro è da costruire e le cose appena elencate sono meno immaginifiche del parlare di Unione nel mentre era in corso la guerra fra europei. Ma richiedono concretezza, realismo, politica seria e stabile nel tempo.

Davide Giacalone, La Ragione 9 settembre 2021

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