Politica

Europa, welfare, giustizia

La sinistra italiana vive oggi i suoi giorni più promettenti. Non si può sostenere che l’invio degli Alpini in Afghanistan sia una scelta epocale, ma è il nodo attorno al quale si sono raccolte molte, non sanate, contraddizioni.

Finalmente è caduto il velo ipocrita della falsa unità, finalmente i ds dovranno fare i conti con un passato non digerito, non rinnegato e, quindi, sempre riaffiorante.

Una sinistra spaccata, si spera, è una sinistra che deve porsi il problema di ridefinire la propria identità ed i propri contenuti programmatici. Non serve a niente, in questa situazione, nascondere tutto sotto il volto di una nuova, presunta, leadership, magari di provenienza democristiana, o sotto un sincretismo infantile, arlecchinesco. La sinistra deve imporsi, se vuol tornare a governare, di rielaborare le proprie idee su almeno tre punti: il ruolo dell’Europa; il governo del welfare; la riforma della giustizia.

Non è possibile che sia considerato un contenuto politico caratterizzante l’adesione all’Europa. Non lo è, per il semplice motivo che questa scelta è stata compiuta molti anni fa, dai governi centristi. La politica oggi impone di ragionare su quali devono essere i confini dell’Europa, quale la sua ragion d’essere politica, quale il suo rapporto con gli Stati Uniti. Noi pensiamo che, su questo terreno, la sinistra italiana dovrebbe scegliere Tony Blair come guida e punto di riferimento. Pasticciare con i distinguo, come si dimostra in questi giorni, non serve a niente.

Non è possibile aspirare alla guida del paese senza proporre uno schema di welfare, pensioni comprese, che sia compatibile con le possibilità e le aspirazioni di una società profondamente diversa da quella per la quale il vecchio stato sociale fu concepito. Passi per il fatto che a protestare contro tagli e riforme si porta qualche migliaio di persone in piazza, ma dovrebbe oramai essere chiaro che quelle piazzate non hanno prospettiva e respiro politico, servono solo a far scappare i consensi di quanti non si nutrono di illusioni e parole d’ordine.

Non è possibile sfuggire ai tanti scheletri del proprio passato se non si disinnesca la follia giudiziaria degli anni novanta, se non si ha il coraggio di riconoscere, in modo compiuto e coerente, non a spizzichi e bocconi, come fin qui si è fatto, che l’abbattimento di un sistema politico democatico per via giudiziaria apre la porta ad avventure populiste e reazionarie e, in ogni caso, ci consegna una giustizia malata ed inefficiente. Se non si ha il coraggio di ammettere che la sinistra, nel suo complesso, è rimasta al laccio di una parte della magistratura, corporativa e politicamente organizzata, quindi reazionaria, finirà col non sfuggire al vizio d’origine di questa stagione, consegnando voti e funzione positiva agli avversari del centro destra.

Certo, sarebbe stato utile fare queste cose dopo la vittoria del 1996; sarebbe stato giusto le avesse fatte D’Alema da presidente della bicamerale, prima, e da capo del governo, dopo; sarebbe stato necessario le avesse affrontate Fassino, dopo il congresso di Pesaro. Tutte occasioni perse, ma non buoni motivi per perdere anche l’occasione che oggi la crisi presenta.

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