Politica

Europei antieuropei

L’antieuropeismo di Marine Le Pen è una posizione politica non solo legittima, ma diffusa. Fin qui perdente, ma crescente. Non la condivido, ma sarebbe irragionevole non farci i conti, oltre che assai imprudente sottovalutarla. Per certi aspetti è un prodotto del successo europeo. Sì, del successo, perché nel nostro passato recente c’è lo scannarci con ferocia, mica il dialogare con eleganza. Sicuramente è forte dei molti errori commessi e delle tante insufficienze della costruzione europea. E’ un pungolo utile, perché non possiamo tenerci le cose sbilenche, sperando si raddrizzino da sole. E batte su un tasto dolente, quello della legittimazione democratica. Guai a nasconderne la fondatezza.

Fino a quando l’Europa è stata divisa in due, nell’evidente cicatrice lasciata dalla seconda guerra mondiale, fino all’inizio degli anni novanta (è passato pochissimo tempo), l’antieuropeismo aveva due nature: il nazionalismo, a destra; l’ideologia, a sinistra. Molti degli europeisti dell’ultima ora vengono da quelle posizioni, pretendendo che siano dimenticate (da noi è clamorosa la pretesa della scuola comunista, Giorgio Napolitano in testa, che pensa di dar lezioni d’europeismo avendo contrastato tutti i passaggi che lo sostanziavano). L’europeismo, del resto, in quella fase, era un nobile richiamo, un futuribile auspicio, un vago sentimento. Eppure il mercato comune si costruiva, il serpente monetario strisciava, le frontiere interne illanguidivano. Nasceva il Parlamento europeo, spesso e non infondatamente irriso per la vacuità delle funzioni. Con alcune presidenze, però, (si pensi a quella Delors) cresceva il peso della Commissione europea.

Poi la storia svoltò. E fu un gran bene. L’impero sovietico crollò, con l’Italia che seppe dare un contributo decisivo (lo schieramento degli euromissili, ovviamente avversato dagli europeisti post sé medesimi). Lì comincia la storia dell’Europa odierna, dell’Ue: allargamento all’est e moneta comune, quale strumento per reggere il peso della riunificazione tedesca (l’euro è una condizione subita, non certo imposta dalla Germania). Un grande balzo in avanti. Che ha messo a nudo molti problemi. Da una parte la legislazione interna di ciascun Paese è sempre più dominata dalla legislazione esterna europea, solo che la base democratica è nazionale e il processo legislativo europeo è conosciuto e seguito da pochi, quasi tutti lobbisti. Da una parte dieci anni di ottimi frutti dell’euro (di cui noi italiani ci siamo giovati, senza profittarne fino in fondo, per colpa nostra), dall’altra l’incapacità di governare la prima vera crisi della moneta unica. Da una parte un processo decisionale senza sedi effettivamente federali, ma con contatti sempre bi o multilaterali, dall’altra la nascita della prima, vera, seria e funzionante organizzazione federale. Solo che è una banca centrale, la Bce. Non esattamente la sede ove s’incarna la sovranità popolare.

Le Pen è convinta, le parole a Libero lo dimostrano, che la democrazia consista nel potere della maggioranza, ridenominata “popolo” e “sovrano”. Capisco la difficoltà culturale a intendere, ma non è così. Altrimenti sarebbero fenomeni democratici, apprezzabili o meno, anche il fascismo e il nazismo. Il votare è uno strumento della democrazia, non la democrazia stessa, che abbisogna anche dello Stato di diritto. Ma Le Pen ha ragione nel mettere in evidenza che il non votare, di sicuro, non è democratico. E noi abbiamo poteri continentali a fronte di politiche dialettali. L’antieuropeismo à la Le Pen, guardate quant’è perfida la storia, è una forza europea, più di quanto non lo siano le vecchie famiglie politiche (difatti i socialdemocratici austriaci adottano simbologie murarie, sull’immigrazione, che li pongono a destra dei cristiano democratici tedeschi, sperando di sottrarre voti alla destra, così avvalorandone le tesi e facendola crescere).

Gli antieuropeisti di oggi sono cittadini europei che rivendicano il peso del consenso elettorale che raccolgono. La loro sfida va rispettata e raccolta. Tocca agli altri darsi contorni non rionali, nell’affrontare i problemi monetari (ci si è riusciti, con i tedeschi non casualmente finiti in minoranza) non meno di quelli relativi all’immigrazione e alla sicurezza. La legittimazione democratica vale per tutti, né può reggersi stabilendo (chi? dove?) quali consensi e sentimenti siano buoni e quali da considerarsi fuori gioco.

Pubblicato da Libero

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