Gli errori che l’Europa ha commesso, e si accinge a commettere, nei confronti di Israele e della Palestina peseranno assai negativamente sul nostro futuro.
Israele si trova a vivere con da una parte il terrorismo stragista e suicida, animato da fondamentalisti fanatici che, lungi dall’essere martiri, sono assassini la cui malapianta andrebbe estirpata fin dalle radici; e, dall’altra, il sempre esistente rischio di commettere errori di reazione (fra i quali, probabilmente, l’avere messo Arafat nelle condizioni di ergersi ad eroe detenuto ed isolato). Il popolo palestinese si trova a reclamare il giusto diritto all’autodeterminazione ed al riconoscimento di un’entità statale; e, al tempo stesso, ad ospitare fazioni che fanno di quelle richieste la premessa per attività che negano il non meno giusto diritto di Israele alla sicurezza. L’iniziativa politica non può in nessun caso prescindere da queste condizioni oggettive.
Ha ragione Gianni De Michelis a dire che il primo passo da compiersi non è quello di stabilire, quasi si fosse un’entità sovraordinata, il confine fra i torti e le ragioni, ma quello di sapere e potere distinguere fra palestinesi che considerano la propria statualità come complemento della pace e della sicurezza, e palestinesi che non rinunciano e non rinunceranno al terrorismo. Sarebbe questo il passo che metterebbe ciascuno di fronte alle proprie responsabilità, a cominciare da Arafat. E sarebbe questo il passo utile al fine di considerare seriamente la proposta saudita, mettendone a frutto quel che c’è di positivo ed eventualmente smascherando quel che c’è di strumentale.
L’impressione, invece, è che l’Europa si perda in sterili appelli alla pace, privi d’impegno e peso reali. L’impressione ancora peggiore è che l’Europa cerchi di sfruttare le difficoltà statunitensi, a loro volta figlie di errori politici, ma anche di coerente difesa della democrazia israeliana, per trovare una sponda araba sulla quale far rimbalzare il peso degli interessi economici e petroliferi.
Impressioni, queste, avvalorate dal modo in cui l’opinione pubblica europea viene informata. Dipingendo Israele come uno Stato in preda alla furia di un guerrafondaio ed i palestinesi come le vittime di una forza militare preponderante. Tale versione la si accompagna con qualche blando ricordo del debito morale che l’Europa ha nei confronti degli ebrei, aggiungendo, però, che adesso è Israele a praticare quel che gli ebrei subirono. Le nostre macchine dell’informazione sono colme di questa mostruosa mistificazione.
Sia detto, dunque, con chiarezza: noi difendiamo la democrazia israeliana non per un debito verso gli ebrei, ma per un inestinguibile debito verso noi stessi, verso la democrazia, la civiltà, la tolleranza. Si provi a dimenticare questo e l’Europa avrà negato se stessa, la propria storia, la propria cultura. Il Vaticano ha altre sensibilità ed interessi, ed in questo senso risulta ancor più evidente l’inopportunità d’inserire riferimenti religiosi, benché storicizzati, nella carta costituente cui sta lavorando la Convenzione presieduta da Giscard d’Estain. L’impotenza e la viltà, talora, possono avere effetti d’enorme potenza devastante.