Bisogna avere una gran fiducia nella longevità e vitalità delle falsificazioni, per sperare si conservino intatte anche quando i fatti s’affermano sui sentimenti. E si deve avere un’idea singolare di sé, nel coltivare l’abitudine di correggere i fatti e la storia, per cercare di risaltare in migliore luce. Ma quel che più mi colpisce è che si conservino tali attitudini non solo in un’età che dovrebbe suggerire maggiore saggezza e dovrebbe consentire minore timore, ma anche nel momento in cui, tardi, ma finalmente, si ammettono alcuni degli errori commessi.
Ho letto con molto interesse l’ultimo libro di Giorgio Napolitano: “Europa, politica e passione” (edito da Feltrinelli). Ammetto la colpa d’avere cominciato prevenuto, pronto a sorbirmi l’ennesima ricostruzione alterata, sicché l’autore pretende di descriversi europeista da sempre. E ammetto, felice, di essere stato smentito. Salvo restare sgomento.
La parte più interessante del libro sono le prime 33 pagine, essendo le altre dedicate alla ripubblicazione di interventi pubblici, già conosciuti. L’inizio sembra confermare il pregiudizio: “… il sentirmi europeo (…) ha rappresentato uno snodo essenziale nella mia esperienza …”. Basta girare pagina, però, e ci si trova difronte ad una ammissione importante: “aderii acriticamente alle posizioni negative verso l’integrazione europea consolidatesi nel mio partito”. Negative è dire poco, visto che accusavano gli europeisti di essere al servizio della Nato e degli americani, combattendo contro l’europeismo, individuato quale dottrina che avrebbe oppresso i lavoratori e minacciato la libertà. Sembra quasi il linguaggio degli antieuropeisti odierni, salvo il fatto che i nostri contemporanei (dai quali profondamente dissento) vorrebbero tornare alla sovranità nazionale, di cui hanno un confuso ricordo, mentre i compagni di Napolitano, e lui medesimo, volevano farci diventare come le vittime polacche, cecoslovacche, ungheresi, tedesche dell’est: sudditi di una feroce dittatura. Quella comunista. Vero che al peggio non c’è fine, ma loro vi si approssimavano assai. Comunque: evviva, finalmente lo riconosce. Non è presto, ma neanche è poco.
Peccato che poi comincia a saltellare nella storia, cancellandone capitoli fondamentali, in modo da far vedere come, soprattutto grazie al suo personale contributo, i comunisti italiani divennero ferventi europeisti. Un percorso veloce e glorioso, secondo l’autore. Invece fu assai lento e inglorioso.
E’ vero, nel 1976 candidarono Altiero Spinelli nelle loro liste, da indipendente. Fecero bene e fu un buon investimento, anche perché tornò utile a cancellare dalla memoria l’anticomunismo di altri autori del Manifesto di Ventotene, che erano tanto seri antitotalitari da trovarsi al confino, quali antifascisti. Ma, nel 1979, i comunisti si batterono strenuamente contro il Sistema monetario europeo. Come fa Napolitano a non ricordarsene, visto che fu lui a tenere il discorso contro quel passo fondamentale? Un europeista vero, Ugo La Malfa, fu assai chiaro con un tentennante Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio, fresco di voto favorevole dei comunisti: se non entreremo nello Sme e accetteremo il veto dei comunisti il governo salta. Passaggio cancellato.
Come è del tutto saltato quello successivo e decisivo: la scelta, operata fra il 1979 e il 1983, per lo schieramento degli euromissili. In quel momento, grazie a Cossiga, Craxi e Spadolini, l’Italia fece da apripista e spalla alla migliore sinistra europea, quella dei socialdemocratici tedeschi (che avevano bisogno di una copertura, per schierare i missili difensivi, risposta al gesto ostile sovietico, che aveva già schierato gli SS20, puntati su di noi). Non solo fu una grande scelta europeista, non solo fu una scelta che innescò la fine dell’Unione sovietica, ma fu il passo che aprì il cammino verso il crollo del muro e il ritorno dell’Europa dell’est alla libertà e alla democrazia. Allora i comunisti italiani, Napolitano compreso, non si limitarono a essere contrari, ma accusarono i nostri governi di fomentare la gurra.
Ora, passati tanti anni, diventati vecchi, varcata la soglia della saggezza, sarebbe il caso di fare pace con la storia. E’ positivo che Napolitano abbia trovato la lucidità per ammettere di non essere stato un europeista dalla nascita, ma di avere a lungo (a lunghissimo) militato fra i nemici d’Europa. Ma è incredibile che ancora provi a cancellare la storia. Quasi vi sia qualche cosa da difendere, in quella del movimento comunista internazionale.
Ma la memoria vacilla anche a più corto raggio. A proposito del caos libico Napolitano lamenta che l’Europa “è apparsa a lungo impotente a esercitare un ruolo”. La Libia non è proprio patria di democrazia e libertà, ma il caos odierno è stato innescato dalla decisione di Francia e Regno Unito di abbattere un despota e ridisegnare la mappa petrolifera. Più che impotente, l’Europa, è stata la culla di quel disastro. Napolitano dovrebbe ricordarsene, perché fu favorevole a quell’operazione, spingendovi un governo italiano che ebbe la grande colpa di non saper resistere e far valere le proprie diverse convinzioni.
Pubblicato da Libero