Alcuni Paesi europei sono già belligeranti, nel quadrante medio orientale, altri tentennano, altri ancora se ne tengono lontani. L’Unione europea non c’è, perché non esiste come formazione militare, semmai ricondotta in ambito Nato (quindi non europeo). Non potrebbe essere diversamente, meglio non dimenticarlo. S’invoca, invece, un’intelligence europea. Servizi di sicurezza, o, se usiamo la terminologia più datata e più realista, servizi segreti europei. Sarebbe una buona cosa, ma cerchiamo di non commettere sempre lo stesso errore: fughe integrative in avanti, quando se ne crea l’occasione o la necessità, salvo accorgersi dopo che rimane troppo indietro l’integrazione politica e democratica. Almeno questo avrebbe dovuto insegnarlo, la storia dell’euro.
Integrare i servizi di sicurezza significa integrare le relative politiche, mica solo le banche dati. L’integrazione è un concetto ben diverso dalla collaborazione. Noi italiani, del resto, abbiamo ripetutamente sperimentato quanto sia difficile far collaborare servizi segreti diversi, anche se della medesima nazionalità. Ovvio che un unico centro nervoso coordina meglio i movimenti periferici, ma comporta l’esistenza di un solo corpo, altrimenti alcuni finiscono con l’essere eterodiretti. Il che poi genera il rigetto nazionalistico, spesso immemore e irragionevole, ma non privo di fondamento. Né, del resto, è possibile una comune politica delle sicurezza senza una comune politica e amministrazione del diritto. Anche in questo caso abbiamo già sperimentato il guasto all’interno dei nostri confini: un’amministrazione dello Stato che fornisce assistenza nella prevenzione del terrorismo e un’altra che ne processa gli uomini, considerandoli criminali. Se riproducessimo lo schema su base continentale sfioreremmo più volte il conflitto europeo. Non è il caso.
Nessun cittadino europeo, giusto per fare un esempio, credo si senta minacciato nelle proprie libertà personali, se si ritrova ad essere ascoltato da chi prova a prevenire gli attacchi terroristici. La realtà porta verso la riforma delle intercettazioni che qui abbiamo ripetutamente illustrato: prevenzione diffusa, mai negli atti giudiziari. Alla giustizia, semmai, si rivolge chi ritiene violati i propri diritti. Ma come può funzionare se da noi gli ascolti vengono fatti direttamente dai magistrati, finendo tutto in carte processuali? Già solo il fatto che noi non si distingua chi accusa da chi giudica c’impedisce ogni seria integrazione. A questo aggiungete che se si rasentano rotture irreparabili quando si discute di debiti, figuratevi che può succedere che ci mettiamo a discutere su chi deve avere le informazioni, dagli spioni.
E allora? Si deve procedere usando l’esperienza e l’intelligenza. Se si vuole integrare l’intelligence si deve cominciare dall’avere una gestione comune delle frontiere esterne e, quindi, uno scambio continuo di informazioni sui soggetti da non lasciare passare. Anche su questo abbiamo formulato proposte specifiche, mentre oggi non si riesce a far funzionare la sinergia informativa né negli aeroporti né nei posti di blocco. Quello è il primo passo. Se si pretende di saltarlo non si va più in fretta, ma più presto s’inciampa. Amministrare le frontiere esterne significa avere criteri e modalità comuni di accoglienza e respingimento, il che riporta alle scelte politiche. Che, dalle nostre parti, si compiono su base democratica.
Dalla moneta alle frontiere, dai servizi di sicurezza alle sedi giurisdizionali, è impossibile non accorgersi che l’attività bilaterale e intergovernativa non porta all’Unione, ma alla belligeranza separata e, nel migliore dei casi, convenuta, così come è impossibile non vedere che il Parlamento europeo non è la sede della sovranità popolare, ma la dislocazione fuorisede di personale politico secondario. La Commissione, infine, finge d’essere il governo europeo quando s’amministrano interessi bottegai, ma scompare davanti all’enormità delle crisi monetarie o degli attacchi terroristici. Se si vuole porre rimedio si deve riprendere l’interrotta (anche per mano francese) via della cessione di sovranità a fonte d’integrazione istituzionale, politica e, quindi, democratica, concependo l’Ue come una realtà effettivamente federale. Altrimenti meglio evitare di combinare altri guai.
Pubblicato da Libero