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Eurotemi

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Chi criticò il parlamentarismo e l’arte del compromesso ebbe modo di pentirsene sanguinosamente, sicché non è il caso di fare i qualunquisti nel lamentare quel che oggi accade al Parlamento europeo. Ma neanche ci si deve rassegnare al troppo lungo languire fra la vecchia e la nuova Commissione. Piuttosto si deve cercare di comprendere le ragioni istituzionali dello stallo e di una contrapposizione di schieramenti che non è capace di far intravvedere ai cittadini europei un solo contenuto. Agitare gli smottamenti a destra o a sinistra è privo di significato, sono mere suggestioni a cura di chi sa fare soltanto campagne elettorali e non è culturalmente attrezzato a legiferare e governare.

Anche solo seguendo il dibattito in italiano se ne coglie la contraddizione, perché non si capisce mai se stiamo parlando della politica europea o della rappresentanza italiana in sede europea. Nel primo caso dovrebbero prevalere idee e proposte sulle origini nazionali, nel secondo gli interessi nazionali esterni rispetto alle divisioni interne. Invece è un frullato. Fitto va in Parlamento a dire (giustamente) che non rappresenterà un partito, un governo o un Paese ma l’interesse europeo e i suoi sodali accusano chi non lo applaude e sostiene di danneggiare gli interessi italiani. Come a dire che alle cose dette da Fitto non credono minimamente. Va a dire che condivide pienamente il programma illustrato da Von der Leyen e chi ha votato a favore di quel programma (fra questi la nostra sinistra), anziché mettere in evidenza la conversione, afferma che va fermata la destra. Non ha senso.

Per capire meglio guardiamo alla Spagna, visto che il problema vero è la commissaria spagnola. Ovviamente, come tutti, indicata dalla maggioranza di governo (bei tempi quando si aveva l’intelligenza di indicare persone di livello e non propri rappresentanti diretti, come Berlusconi fece con Bonino e Monti). L’opposizione alla socialista Ribera è condotta dai popolari spagnoli, evidentemente non convinti che sia nell’interesse spagnolo. Che abbiano torto o ragione, il loro ragionamento è corretto, mentre è sbagliato quello di chi pensa d’essere a “Giochi senza frontiere”.

Solo che la maggioranza Ursula è composita, mentre i voti sui commissari sono scomposti: per passare tutti al primo turno, con maggioranza qualificata, la maggioranza deve reggere compatta. Possono aggiungersi dei ‘convertiti’, come Fratelli d’Italia, ma non possono sostituire defezioni dalla maggioranza, altrimenti salta tutto. Il che accade mentre le situazioni nazionali hanno visto un indebolimento dei socialisti (si pensi alla Germania e alla Spagna), mentre i popolari sentono sul collo il fiato delle destre nazionaliste. E siamo arrivati al nocciolo: in queste condizioni non si deve avere paura dei compromessi ma dell’incapacità di farli e del vile rimpiattarsi nelle battaglie di bandiera. In tutte le storie di democrazie che cadono non sono le decisioni prese ad avere prodotto il crollo, ma quelle mancate.

La questione riguarda anche i mezzi d’informazione: non è possibile che i passaggi di un sistema istituzionale siano sempre illustrati come frutti di immobilismo, pastoie, compromessi compromettenti, scontri di potere, perdite di tempo. Sono anche tutto questo, come sono l’essenza stessa delle democrazie. Che meritano maggiore rispetto. Il guaio non è che si negozi un compromesso, ma che nel farlo non ci sia l’ombra di un contenuto. Solo schieramenti. Perché sul resto c’è accordo? Sarebbe bello (renderebbe grotteschi gli scontri, però) ma non è vero, perché il contenuto vero è il rapporto Draghi: sulla difesa e sulla politica estera comuni, sostenuti da comune finanza e no, non c’è accordo. Se lo scontro fosse su quello, ciascun cittadino potrebbe trarne un giudizio e regolarsi per il prossimo voto. Se è soltanto sugli schieramenti si tende a considerarli ‘affari loro’, facendo passare la voglia di partecipare al prossimo voto. Senza eurotemi resta solo la politica delle bandiere, che è uno strazio per ogni dove.

Davide Giacalone, La Ragione 15 novembre 2024

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