Politica

Eurovisione

giacalone editoriale la ragione 20 marzo

In mondovisione è stato trasmesso il fallimento della telefonata fra Putin e Trump. O meglio: il fallimento dell’affidamento americano. Il telefono era ancora caldo quando sono ripresi i bombardamenti russi, che hanno colpito anche un ospedale e diverse reti e impianti elettrici. Il presunto “ordine” impartito da Putin di non bombardare impianti elettrici s’è rivelato una presa in giro, posto che non si vede in cosa bombardare un ospedale sarebbe accettabile e comprensibile. Putin non intendeva certo salvaguardare gli impianti ucraini, ma le raffinerie russe. Il che consolida il fallimento dell’iniziativa statunitense – della tregua non c’è neanche l’ombra – e dimostra la difficoltà in cui si muovono i russi, militarmente perdenti.

Subito dopo la sfortunata telefonata è andata in onda una prima reazione, in eurovisione: Francia, Germania e Inghilterra facevano sapere che intensificheranno gli aiuti agli ucraini. I teleschermi italiani non erano ben sintonizzati, le immagini apparivano annebbiate, così come anche un ruolo che fu di guida all’inizio della guerra e ora s’è ripiegato nel cercare una tregua interna alle insanabili contraddizioni della maggioranza e delle opposizioni. Non si tratta di mero folklore politico. L’Italia corre il serio rischio di restare fuori dalle visioni europee, senza per questo guadagnare nulla in un ruolo di presunto ponte con gli Usa, cui si sta chiedendo un pass per la Casa Bianca.

Ci sono delle ragioni per cui fare i pontieri è del tutto inutile.

1. Nessun Paese dell’Unione Europea si sogna di proporre una rottura con gli Stati Uniti e nessun Paese della Nato si sogna di uscirne. Il problema è che sono gli Usa ad avere esplicitamente sostenuto che non si sentono pienamente coinvolti nella difesa dell’area europea e che l’Ue è nata per fregarli, sicché è del tutto inutile scrivere in papiri italiani che tutto andrebbe meglio se ci fosse amore e accordo fra le due sponde dell’Atlantico. Tanto vale chiedere la pace fra i popoli.

2. Che la guerra commerciale dei dazi sia una follia distruttiva di ricchezza non ci sono dubbi, ma va detto a chi l’ha teorizzata e iniziata, ovvero l’ottuso sovranismo trumpiano. Certo la risposta non possono essere i controdazi, ma neanche può essere la silente acquiescenza. La risposta più efficace consiste nello stringere rapporti di scambio con altre aree del mondo: incrementare il Ceta con il Canada, l’accordo con il Mercosur, il rapporto con l’India. Peccato che ai primi due si oppongano le forze corporative italiane (e taluni della maggioranza vanno loro appresso), nonostante il Ceta abbia funzionato benissimo, portandoci ricchezza.

3. La maggiore disponibilità di spesa, cui aggiungere quella tedesca, sarà indirizzata a creare un’industria europea della difesa e se l’Italia si spiazza provando a fare il ponte – quindi non andando in eurovisione – c’è il rischio resti anche in mezzo al mare, lontano dalle ricadute positive e danneggiando la nostra industria.

A questo si aggiunga che nuovo debito comune – destinato a finanziare tecnologia e prodotti per la difesa, quindi innovazione con ricadute civili – comporta anche maggiori vincoli e cointeressenze, perché comporta comuni rischi. E noi siamo i soli, in tutta Ue, a non avere ancora ratificato l’assicurazione sugli squilibri finanziari e bancari, il mitico Mes. Quell’eurovisione non s’è annebbiata, sui nostri schermi, è stata proprio bloccata.

Il palinsesto della prossima eurovisione si organizza attorno alla profonda riflessione di un italiano, Mario Draghi, ma se viene a esporre in Parlamento le linee guida per potere restare sui binari che conducono alla ricchezza i presenti s’esercitano nel gioco del piccolo politico e staccano a pranzo. L’italiano parlato in Ue è estraneo a un mondo politico ricaduto in quel vizio trasformista e levantino che soltanto la tragedia della guerra diede a De Gasperi, La Malfa, Malagodi e Saragat la forza di stroncare.

Così andando ci si farà del male, per inettitudine.

Davide Giacalone, La Ragione 20 marzo 2025

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