Politica

Exepcion cultural

Jean-Marie Messier, presidente di Vivendi, quindi del francese Canal+ e dell’italiana Tele+, ha finalmente detto, come riporta El Pais, che è ora di far cadere l'”exepcion cultural”, vale a dire tutta quella serie di norme protezionistiche che sarebbero dovute servire a tutelare il cinema francese.

Messier, del resto, si è da tempo accorto che il mercato dell’audiovisivo ha dimensioni del tutto incompatibili con quelle dei confini nazionali, ha acquisito Universal e l’intrattenimento di USA Network, ha, infine, approfittato di un 2001 positivo, per il cinema francese e, cullandosi sui successi, ha rotto il tabù delle quote riservate.

Il mondo politico francese, ed in particolare i socialisti, condusse con determinazione quella battaglia, in Europa (89/552/CEE), imponendo alle televisioni di trasmettere quote riservate a film europei. E noi, che europeisti siamo da sempre, ed anche affezionati alla cultura, già allora non ne condividemmo il senso. Non si tutelano la cultura e l’identità con il protezionismo, non si salva l’industria cinematografica nazionale imponendo quote anacronistiche ed umilianti. Si, umilianti, perché è umiliante che le televisioni nazionali, tanto quella francese quanto quella italiana, finiscano con il trasmettere film europei nelle ore di minore ascolto, o addirittura a notte fonda, al solo scopo di rispettare le percentuali previste dalla legge. In più, così facendo, come sempre avviene con il protezionismo, si tutela la mediocrità e si danneggia l’eccellenza. E l’eccellenza esiste, eccome, nel cinema francese, in quello italiano, in quello europeo.

Allora, più di dieci anni fa, vinse il protezionismo (art. 26 legge 223 del 1990, alias legge Mammì), fortemente sponsorizzato dalle sinistre e, in Italia, dal partito comunista (che trovò il Valter Veltroni il principale interprete di quest’errore). Oggi è Messier a sconfessare tutti, quello stesso signore il cui arrivo in Italia era stato salutato dalla sinistra come una sicura garanzia per il rispetto del tabù (mentre altri, meno francesi, furono vissuti come barbari alle porte, come profanatori della cultura). Ragione di più per costatare che la legge Mammì è vecchia ed andrebbe assai aggiornata, superando le resistenze di una sinistra che le accese i lumini quando fu approvata e, ancora oggi, continua a venerarla e chiederne instancabilmente il rispetto.

Ci capita, quindi, ancora una volta di avvertire un decennio prima quel che la sinistra comprenderà un decennio dopo. Non si sa se si sia noi a sbagliare in anticipo, o loro a copiare in ritardo.

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