Politica

Fallimento dei controlli

Salotto interclassista, quello convocato dai 56 provvedimenti di custodia cautelare e avvisi di garanzia spiccati dal giudice delle indagini preliminari, a Roma, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, che ha coordinato le indagini di Guardia di Finanza e Ros dei Carabinieri. Numerosi i mandati di cattura internazionale, ad aumentare la scenografia globale del supposto riciclaggio. Salotto interclassista, dicevo, perché a prendervi posto dovrebbero essere manager di grande fama, come Silvio Scaglia, uno dei fondatori di Fastweb, alti papaveri delle telecomunicazioni italiane, un senatore della Repubblica, Nicola Di Girolamo, e un congruo numero di presunti ‘ngranghetisti. Staremo a vedere, se le accuse reggeranno. Non solo mi attengo, come sempre e come per tutti, alla presunzione d’innocenza, ma segnalo che Scaglia ha già fatto sapere di non avere mai commesso reati, e le società si dichiarano parte lesas. Staremo a vedere. Ma l’impianto delle accuse mette in evidenza, ancora una volta, un problema strutturale del nostro Paese: il non funzionamento dei controlli interni. Siano essi parlamentari o societari.

Partiamo da Di Girolamo, che è facile: il problema non dovrebbe esistere, perché non dovrebbe essere senatore. La commissione senatoriale che vaglia la legittimità delle elezioni aveva già stabilito che la sua candidatura era irregolare e la sua elezione da cancellare, perché non era residente all’estero. Aveva fornito documentazione falsa, pertanto non avrebbe mai dovuto sedere nell’emiciclo. Ma qui scatta la furbata: siccome un pubblico ministero romano aveva avviato un’indagine penale per falso, e siccome aveva già chiesto di arrestare il signor senatore, i colleghi decisero, con masochistico voto a maggioranza, di sospendere il giudizio fin quando la giustizia non avesse detto l’ultima parola. Sì, lallero, ci rivediamo fra qualche lustro. Il bello è che sostennero d’avere agito per garantismo, mentre noi, garantisti doc, segnalavamo che l’autotutela del Senato non può subordinarsi ad un giudizio penale. Non solo, agirono con impudicizia, perché sapevano che il giudizio non sarebbe arrivato prima della fine della legislatura, confermando che la lentezza della giustizia italiana è una pacchia per quanti sgarrano.

Ora arriva la novità: alcuni dei supposti riciclatori, calabri e ‘ndranchetosi, non si limitarono a far campagna elettorale per Di Girolamo, come era del tutto legittimo, ma si spinsero a prendere qualche pacco di schede e votarlo, a nome di elettori inesistenti. Sarà vero? Lo vedremo. Ma noi scrivemmo già sull’elezione degli italiani all’estero, e già descrivemmo sia questo tipo di trucco che un sistema elettorale bislacco e aperto alla frode. Nessuno ci diede ascolto. Ora si godano le conseguenze.

Passiamo al lato nobile, si fa per dire, del salotto. Se ho ben capito, l’accusa suppone che due società importanti, ovvero Telecom Italia (per il tramite della Sparkle, che detiene al 100%) e Fastweb, abbiano acquistato servizi telefonici inesistenti, versando i quattrini a quattro società italiane, sconosciute ai più, queste, a loro volta, avrebbero finto di acquistare i servizi all’estero, portando fuori i soldi e, per giunta, realizzando una presunta evasione iva per la bellezza di 400 milioni. E’ vero? Non lo so, naturalmente. Staremo a vedere. Ma se Guardia di Finanza, Ros e Antimafia non hanno preso completamente lucciole per lanterne, ce n’è abbastanza per ragionare.

Perché due società così grosse, con forti ramificazioni e presenze all’estero, si servono d’intermediari di ben minore fama? Mica è normale. La Sparkle, in particolare, già agisce nel mercato internazionale, sicché se acquista da operatori italiani è guidata da incapaci, visto che è posseduta dal più grosso, e se vende a operatori italiani è infedele, visto che dovrebbe rispondere agli interessi del più grosso. Inoltre, secondo le carte dell’accusa, fra i preziosi beni intermediati vi sarebbero schede telefoniche prepagate per accedere a siti internet il cui contenuto è riservato. In altre parole: o informazione ad alto valore, che per loro natura non si vendono massicciamente al pubblico, o pornografia, che in rete si trova grati, in tale smodata e imbarazzante abbondanza che la mia povera fantasia non riesce ad immaginare cosa cavolo dovrei pagare.

Qualche mese fa l’amministratore delegato di Telecom Italia, Franco Bernabè, disse di volere vendere Sparkle. Sembrò una minaccia, e forse lo era. Nel sito di Telecom è ancora considerata una proprietà totale, segno che le cose devono essere andate diversamente, e il gruppo dirigente è interamente espressione di Telecom, segno che dovrebbero sapere come stanno le cose. Ora, al di là di tutto, volendola vendere l’avranno fatta esaminare e valutare, spero. E’ emerso nulla, nel corso di quel lavoro? Se tutto è regolare, si devono licenziare i finanzieri che hanno contestato la falsa fatturazione, il riciclaggio e l’evasione dell’iva. Altrimenti si dovrebbe licenziare qualcun altro.

Le società hanno al loro interno sistemi di controllo, predisposti e imposti dalla legge. A cominciare dal collegio dei sindaci. Le società quotate in Borsa sono poi controllate da soggetti esterni. Ogni volta che una malefatta societaria arriva sul tavolaccio penale è segno che o non funzionano gli inquirenti, o non funzionano i controllori. L’una cosa, oltre tutto, non esclude l’altra.

L’epoca cui si riferiscono le contestazioni, infine, va dal 2003 al 2006. Ogni ipotesi, oltre a dover essere provata, si riferisce a quelle gestioni. Ma il codice civile impone ai successori, ove annusino qualche cosa di men che commendevole, di avviare delle azioni di responsabilità. Già abbiamo assistito alla scena di una Telecom Italia che, in un procedimento milanese, prima si dichiara parte lesa, poi chiede di patteggiare per risarcire chi ha subito il reato, il tutto senza sentire il bisogno di chiamare a risponderne chi la guidava.

Lo so che certe cose le scriviamo solo noi, al punto da poter sembrare un po’ mattocchi, ma il fatto è che noi siamo garantisti sul serio, non a corrente alternata e secondo amicizia, pertanto ci teniamo a render chiaro che garantista non è sinonimo di scemo.

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