Gli appassionati del brubrù politicante può darsi s’accontentino delle versioni predigerite e stereotipate, sicché l’accordo da cui nasce il governo in carica s’è trasformato nella rottura che scarica le promesse riforme. Ma, a ben vedere, Silvio Berlusconi ha fatto un gran piacere a Matteo Renzi. Per tre ragioni. Di cui potrebbe non importare molto agli italiani, se non fosse che loro è la speranza di un governo funzionante e a loro sarà presentato il conto di quello deflagrante.
La prima ragione, per cui credo che Dart Fener abbia dato una mano a Luke Skywalker, è che ha distratto l’attenzione dall’evento più significativo: la chiamata al Colle del ministro dell’economia. Pier Carlo Padoan celia: non crederete mica che mi abbia chiesto i conti e abbia voluto rassicurazioni? Non lo credo affatto: ha voluto fare i conti e dare rassicurazioni. Le ha date a Padoan, da vecchio compagno di partito (anche se Padoan era barchiano, mentre Napolitano mitemente amendoliano). Lo ha reso più forte, su un punto decisivo: ove i saldi claudicassero si passa ai tagli lineari e alle accise. Che non è certo una pratica innovativa, ma è radicalmente delegittimativa del renzismo.
La seconda ragione è che manifestandosi attivo, Berlusconi, restituisce un po’ di colla con cui tenere incollato il Partito democratico. Dal decreto lavoro alla riforma del Senato quelle che si erano aperte non erano delle crepe, ma delle accettate prodotte con volontà e gusto. Ora è stata ricordata a tutti la ragione per cui il Pd esiste: altrimenti vince l’avversario.
Che non è neanche detto, ed è questa la terza ragione del favore, perché se vincono gli ortotteri sia Pd che FI ne escono sminuzzati. E la vittoria frinente ha due versioni: a. diventare il primo partito, che coinciderebbe con la devastazione degli altri; b. intestarsi l’opposizione, che comporterebbe in crollo dell’accordo del Nazareno.
Renzi, quindi, ha ragioni per ringraziare. Sebbene è meglio lo faccia solo in cuor suo (che se trova qualche altro berlusconiano doc in rapita transumanza va a finire che anziché con la Morte Nera dovrà fare i conti con quella Rossa). Certo, finiscono sullo sfondo la riforma del Senato e quella della legge elettorale. Ma, suvvia, non si sia ipocriti: sono due riforme da farsi, però quelle proposte sono delle porcherie certificate. Dicono i renziani: ma noi le cose le facciamo, procedendo illico et immediate. Ragazzi, senza volere ricordar la sorte della gatta presciolosa sarà bene tenere presente che fare è una bella cosa, ma a saperlo fare.
Ieri Maurizio Belpietro ha ottimamente ricordato che le similitudini fra i governi Berlusconi e quello Renzi sono molteplici e prevalenti: dal fisco al titolo quinto; dal lavoro al bicameralismo; dai soldi della social card ai mitici 80 euro; per non dire della carnale passione per gli annunci (che, se non altro per ragioni di tempo, al momento sono prevalenti in capo al successore). Solo a essere smemorati o in malafede, con ci se n’avvede. E una cosa non esclude necessariamente l’altra. Il guaio, serio, è che quei governi hanno in comune anche l’idea che la ripresa e lo sviluppo passino da ciò che si riesce a dare, così corroborando anche il consenso elettorale, senza preoccuparsi di affrontare e abbattere quel che ci condanna ad arrancare: la spesa pubblica improduttiva e il debito che cresce per i fatti suoi.
Dice Padoan: “non ci saranno misure straordinarie per abbattere il debito”. Se si riferisce a patrimoniali fa bene a ribadirlo, ma farebbe meglio ad accorgersi che le hanno già aumentate. Forse vuole escludere la patrimonialona à la Amato? Fa bene. Ma altre misure straordinarie sono, invece, necessarie. Consistenti in dismissioni e liberalizzazioni. Altrimenti pestiamo l’acqua nel mortaio, in attesa di farci pestare gli zebedei. Tutti presi a far da cantori del nuovo, delle svolte e del mai visto, nonché impegnati a intonare l’unica musica che conoscono, la sinfonia del lecchino, non pochi commentatori si profondono nel dire che non c’è alcuna continuità, ma solo folgoranti novità. Io, invece, la continuità la vedo. E mi preoccupa. Certo, c’è la campagna elettorale, che comporta i frizzi e i lazzi della propaganda. Il guaio nostro è che non ne trovi mai nessuno capace di propagandarsi con la serietà e la realtà, ma solo rilanciando su regali e sconti. Poi vince e ti chiede l’acconto.
Pubblicato da Libero