Politica

Festa alla Repubblica

Qualcuno ci riprova, a far la festa alla Repubblica. Parliamone oggi, che ricorre la festa della Repubblica. Non è facile, si rischiano equivoci, ma far finta di niente è pericoloso. Ogni giorno cerchiamo di afferrare e raccontare il senso delle cose che accadono, commettendo l’errore, qualche volta, di perderci nei dettagli. Prendiamo un po’ di distanza e guardiamo l’insieme.

Non fermiamoci alle risposte che abbiamo già dato, e domandiamoci: ha un senso che un sottosegretario statunitense sbarchi in Italia e senta il bisogno di dire che l’amministrazione americana ci tiene a che gli italiani continuino a fare intercettazioni telefoniche con un sistema che, dalle loro parti, sarebbe considerato scandaloso? a parte le considerazioni sull’ingerenza (sono un filo americano atlantista, il che valga anche per quel che segue e, pertanto, molte ingerenze mi parvero salutari), perché quel politico ha ritenuto di dire una cosa non molto sensata, ma fastidiosa per il nostro governo? e ha un senso che, dalla sera alla mattina, il procuratore nazionale antimafia, il suo predecessore e due ex Presidenti della Repubblica sentano il bisogno di dire che il successo di Silvio Berlusconi è organico, o, quanto meno, debitore alla mafia e alle stragi? Sono storie vecchie, ha scritto qualcuno. Ma quando mai!? Un’accusa così nuda e cruda, da fonti così altolocate, non s’era mai sentita. Un’accusa con la quale non si può e non si deve convivere, perché se è fondata il presidente del Consiglio deve essere deposto, ora, subito, e se non è fondata chi la pronuncia deve pagare, ora, subito. La domanda è: sono coincidenze? Non riesco a crederci.

Ho ascoltato le considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, traendone impressioni e considerazioni che rimando ad altro intervento. Ho sentito, ad un certo punto, il suo tono indurirsi nell’affermare che dall’euro non si torna indietro. I giornali hanno commentato quel discorso con gli occhi rivolti alla “promozione” della manovra governativa, ma quel giudizio è subordinato a quell’affermazione: dall’euro non si esce. Pensateci: la Grecia può entrare in crisi e può essere slavata, ma se qualche cosa di analogo accadesse in Italia sarebbe l’euro a dover essere salvato, come un naufrago che s’attacca ad altri naufraghi, annegando tutti. L’Italia, insomma, è la trincea estrema dell’euro.

Che l’Italia sia solcata dalle inchieste giudiziarie, scarseggiando di processi e sentenze, non è una novità. Ma vedo quel che accade sulla protezione civile, vedo le notizie che circolano su Finmeccanica e, senza minimamente entrare nel merito delle inchieste, quindi rispettando la presunzione d’innocenza e augurando che i colpevoli paghino, ricordo che furono strumenti analoghi a favorire un immenso trasloco di ricchezza, nella chimica come nelle telecomunicazioni, con abbondanti compartecipazioni straniere.

Sempre guardando da una certa distanza, ci s’accorge che l’Italia non ha più il ruolo strategico di un tempo, quando imperversava la guerra fredda. Siamo divenuti marginali, un po’ abbandonati a noi stessi. Ma non del tutto, specie quando ci mettiamo in testa di fare affari energetici con la Russia di Putin (senza essere la Germania) e quando c’incaponiamo a collaborare con Gazprom nella costruzione di South Stream, gasdotto che cambia la carta geostrategica d’Europa. Ed è vero che l’Eni ha accettato l’interruzione dei rapporti con l’Iran, ma è altrettanto vero che abbiamo coltivato, non senza qualche grottesco passaggio, quelli con la Libia.

Chi conosce la storia d’Italia sa che il Paese unito ha una vocazione mediterranea e una propensione filo araba (ne furono espressione Crispi come Mussolini, gran parte della Democrazia Cristiana come il Partito Comunista). A me piacciono di più le navi di sua maestà britannica, che protessero lo sbarco dei mille dalla marina borbonica, come mi piace il Leo Valiani agente dell’inglese Special Operations Executive, ma so che, dalle nostre parti, quelle sono minoranze, che non vanno confuse le proprie preferenze con la storia e la realtà. Dopo la seconda guerra mondiale fummo salvati dal trattato di Yalta, che ci mise nella parte libera e civile del mondo. Quello scenario è tramontato, e alcuni istinti atavici tornano a galla.

Non sto divagando, ve lo assicuro. Veniamo al dunque: cosa si vede, guardando l’insieme, osservando le strane coincidenze e le cose che accadono? Si vede che qualcuno sta organizzando la festa alla Repubblica. C’è chi ha interesse a vederci nuovamente crollare. Perché c’è ancora ricchezza da portar via, perché la politica energetica disturba chi non ama (e giustamente) il ritorno della Russia alle antiche pretese, perché il nostro ruolo in medio oriente non è univoco (dopo l’intervento degli israeliani contro la nave dei “pacifisti” si sarebbe dovuto dire: hanno fatto bene, era loro diritto, sono stati aggrediti, ma la prossima volta usate i cannoni per allontanarli, non le armi leggere per trucidarli). Sono partite diverse, dietro le quali sarebbe stolto vedere un’unica mano, ma vivono nello stesso tempo.

Ultima domanda: perché il bersaglio è sempre Berlusconi, al punto che gente che ci tiene all’immagine si scalmana nel dargli del mafioso? Non perché è presidente del Consiglio, ma perché continua ad essere la più potente calamita elettorale. Sia nell’aggregare attorno a sé che nel respingere da sé, aggregando all’opposizione, dando forma, se non proprio sostanza, alla democrazia. Questa forza, sulla cui natura discettammo altrove, lo rende l’unico perno della seconda Repubblica. Chi vuol fare la festa alla Repubblica deve fare la festa a Berlusconi. Il resto, dalle prezzolate agli intercettati, sono dettagli.

Scrive Giampaolo Pansa che ci sono molte ragioni per cui Berlusconi dovrebbe ritirarsi dalla vita pubblica, che la sua stagione è terminata. L’interessato non darà alcun ascolto a tale consiglio. Il tema collettivo, però, è diverso: la seconda Repubblica è nata male e avanza spompata, perché la prima è stata cancellata al di fuori delle regole democratiche, se anche questa parentesi si chiude in modo irregolare, in un’aula di tribunale o a Sant’Elena, la nostra sorte sarà progressivamente peggiore e la terza Repubblica sarà lo scarto della seconda, a sua volta scarto della prima. Quindi, senza fughe e senza colpi, meglio fare i conti con la realtà. Buona festa della Repubblica.

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