Politica

Filippo Mancuso

Filippo Mancuso è uomo da ammirare, e che ammiro. Opinione che non cambio all’indomani dei travagli che hanno seguito la sua mancata elezione alla Corte Costituzionale. Vicenda, questa, che merita una riflessione meno concitata e personalizzata.

La schiena dritta di Filippo Mancuso non si piegò quando le più alte cariche della Repubblica, tenute sotto la pressione dell’aggressione giudiziaria, gli chiesero di venire meno ai suoi doveri di ministro della Giustizia. Gli italiani lo conobbero in quel momento, avendo prima svolto la sua funzione di magistrato lontano dai clamori e dalle pose equestri. Il pubblico conobbe anche, in quell’occasione, il suo eloquio forbito e datato, che a me parve e pare d’estrema eleganza e che, invece, i somari presero a dileggiare quale evidente sintomo d’illanguidimento senile. Pronunciò un grande e nobile discorso di dimissioni, non riuscendo a trattenere la commozione, ma gli si volle subito togliere spazio, si volle immediatamente negare la possibilità di ascoltare le cose dette montando una ridicola commedia a proposito delle non dette (che poi, comunque, disse).

In poche settimane, nel pieno di quella crisi istituzionale, Mancuso rese un importante servizio al Paese. Il fatto che molti non siano ancora capaci d’accorgersene, be’, dice tutto di loro e niente di Mancuso.

Pochi giorni fa, quando ancora i due giudici costituzionali non erano stati nominati, scrissi che il problema non era questo o quel candidato, ma la modalità d’elezione: aveva un senso con il proporzionale, non ne ha più con il maggioritario; comunque fossero andate le cose, tale problema non sarebbe stato risolto. Così è stato, salvo che l’epilogo è davvero inglorioso.

Lo schieramento di centro destra porta, da solo, la responsabilità (ed io dico il merito) di avere sostenuto la candidatura di Filippo Mancuso. I due schieramenti, invece, portano entrambe la responsabilità (e non vedo meriti) per come le cose sono andate. Un uomo non condizionabile se ne torna a casa, al suo posto si scelgono uomini di cui i parlamentari che li hanno votati saprebbero dire poco più del cognome, forse neanche il nome.

Lo stesso Filippo Mancuso non è esente da colpe. Egli (ed il centro destra, ovviamente) avrebbe dovuto accorgersi molto tempo fa che il braccio di ferro sulla sua persona aveva visibilmente perso senso. Avrebbe dovuto capirlo non in virtù delle sue discutibili doti politiche, ma per quelle che gli derivano da un’indiscutibile competenza giuridica ed istituzionale. Quel che noi abbiamo scritto martedì a lui (ed al centro destra) doveva essere chiaro da mesi. Vi è anche un secondo errore: quando è comparsa la candidatura di suo nipote (e non ho difficoltà a credere che non sia stata da lui avanzata) egli avrebbe dovuto manifestare il suo dissenso o, quanto meno, reclamare la propria assenza. Ancora una volta per una ragione istituzionale: non era Filippo Mancuso ad aver diritto ad un risarcimento, giacché il danno non era stato arrecato a lui, ma alle istituzioni.

Filippo Mancuso è uomo severo, poco incline alla clemenza. Sono sicuro che quando avrà tempo e modo di riflettere su questi passaggi troverà in essi lo spunto per comprendere la forza delle umane debolezze.

A noi, però, resta il risultato, e non è un buon risultato. Con tutto il rispetto per gli eletti, la politica ha prodotto un compromesso al livello inferiore. L’elezione a giudice costituzionale non è un concorso a premi per cultori di diritto, ed è ragionevolissimo che la scelta del Parlamento, che è scelta politica, s’indirizzi verso persone che esprimono indirizzi politici. Ecco, in questa chiave, di che sanno le scelte compiute? Hanno l’insipido sapore della fretta ritardataria. A sbobba scodellata, si rifletta, adesso, sul sistema di cottura.

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