Politica

Fine della Seconda

Domenica 13 dicembre, parlando in Piazza Duomo, a Milano, Silvio Berlusconi ha cancellato l’ipotesi delle elezioni politiche anticipate. Non ci sono scorciatoie, i vincitori delle scorse elezioni politiche sono tenuti a governare. Subito dopo ha subito una violenta aggressione. Poteva andare peggio, ma non sarebbe dovuto succedere. La vittima è stata ferita, al resto del mondo politico sono stati chiariti i rischi che si corrono alimentando l’odio. Massimo D’Alema ne ha tratto l’impressione che è da irresponsabili giocare al “tanto peggio tanto meglio”, che si deve percorrere una via diversa, cercando di dare un senso alla legislatura ed impostare le riforme di cui tutte le persone serie e pensanti sentono il bisogno. Non solo ha ragione, ma si tratta di un’occasione da non perdere.

Da dentro il governo è giunta una reazione importante e positiva, quella di Giulio Tremonti, che ha riconosciuto l’esigenza di una stagione costituente, il bisogno di una sede ed un clima che consentano di riscrivere le regole della nostra democrazia. Dal mondo dell’opposizione, invece, le reazioni sono state prevalentemente negative, improntate al rifiuto o al silenzio. Si può capirlo, perché l’antiberlusconismo è la comoda soluzione per chi si accontenta di galleggiare senza navigare, di sopravvivere senza esistere. La contrapposizione frontale, la subordinazione politica e culturale alla minoranza reazionaria dipietrista, sono gli ingredienti grazie ai quali una classe dirigente senza idee e senza coraggio può continuare a calcare a scena. Ma se si ragiona con gli occhi puntati sul destino collettivo e sul ruolo propositivo di ciascuno, queste sono solo scorie del passato, mentre puntare alla riforma costituzionale serve a superarlo e metterselo alle spalle, quel passato.

Che alternative ci sono, a cosa può puntare una sinistra che metta a tacere D’Alema? Il caos. L’alternativa è il caos. Da quando è sulla scena politica Berlusconi ha regolarmente preso la maggioranza relativa dei consensi elettorali, anche quando il gioco delle regole ha dato ad altri la maggioranza degli eletti. Fare un’opposizione che sia mera contrapposizione, incapace di entrare nel suo terreno elettorale, quindi, significa aspettare che egli imploda, che lo spazio si liberi per mancanza dell’avversario, nel frattempo rendendo impossibile il governo del Paese. E siccome i numeri elettorali sono quelli che sono, per ottenere un simile risultato si utilizzano strumenti non parlamentari, come il ricatto giudiziario. Tale disciplina, inconcludente da quindici anni, sta sfarinando quel che resta del nostro equilibrio istituzionale.

D’Alema, quindi, vede non solo un problema oggettivo, ma anche una altrettanto oggettiva convenienza della sinistra. Gli danno in testa, i suoi stessi coinquilini, non perché abbiano un disegno alternativo, ma perché, in assenza di disegno, preferiscono vivere di rendita, senza altro rischio della oramai consolidata irrilevanza. Pierluigi Bersani, in queste condizioni, non può permettersi di non prendere posizione. Toccano a lui le scelte politiche, a cominciare dallo scaricare quel parassita che gli ciuccia sangue elettorale: l’Italia dei Valori.

Non sarà facile, occorrerà grande senso di responsabilità. L’opposizione non potrà giocare nel regolamento di conti interno alla maggioranza, la maggioranza non potrà favorire un’opposizione massimalista. Ancora una volta, quindi, i destini di Berlusconi e D’Alema s’incrociano. Ancora una volta ciascuno può giocare sulle debolezze dell’altro, o puntare ad un dialogo ravvicinato, che favorisca il cambiamento. Se prevarranno lungimiranza e senso di responsabilità, sarà l’occasione per porre fine ad una stagione politica, quella della seconda Repubblica, che è solo il residuato fossile di quel colpo allo Stato che porta il nome di “mani pulitite”. Una stagione che, oramai, non ha più nulla di utile da dare, all’Italia.

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