Politica

Fini e Mussolini

Cambiare idea è lecito, purché lo si segnali chiaramente e se ne spieghino i motivi. Cambiare giudizi storici, addirittura di portata secolare, a distanza di pochi anni, invece, è un esercizio più complicato.

Quindi, a farla breve, non mi pare che Gianfranco Fini abbia maturato, in otto anni, un diverso giudizio su Benito Mussolini, semmai si è accorto di avere detto, otto anni fa, una sciocchezza.

A proposito di Mussolini una parola pressoché definitiva è stata detta dal grande e straordinario lavoro di Renzo De Felice, che, abbattendo luoghi comuni e tic ideologici, fotografò il capo del fascismo e, al tempo stesso, gli italiani suoi contemporanei (che sono anche nostri contemporanei). Risulta dalle cronache che a De Felice si appella anche Mirko Tremaglia, mi sta bene e non mi lamento della compagnia: si tratta di un uomo sopravvissuto al tragico errore della Repubblica di Salò.

Lasciata da parte la questione storica, è sulla questione politica che vale la pena spendere qualche parola. Certo, Fini è mosso da convenienze contingenti: è vice presidente del consiglio, si appresta ad avere un ruolo nella convenzione europea, deve ancora sciogliere il nodo di rapporti difficili con certi ambienti internazionali ed è quindi del tutto evidente che non può e non deve lasciare che gli si attribuiscano nostalgie nei confronti di una dottrina e di una politica che sono costate all’Europa la più grande tragedia del secolo scorso. Ma le ragioni della convenienza sono ragioni normali, in politica, niente affatto disdicevoli, chi le evidenzia per diminuire il peso delle parole di oggi sbaglia, e di grosso.

Gianfranco Fini, di certo, ha guidato prima la formazione politica che raccoglieva molti giovani fascisti, accanto ad altri semplicemente di destra, ed è stato poi il segretario di un partito che poté giovarsi del lavoro svolto da Giorgio Almirante (ricordate il doppiopetto?), ma in cui i nostalgici del duce erano pur sempre in gran numero. Al tempo stesso, però, Fini è troppo giovane per avere un quale che sia coinvolgimento con i fatti di allora e da tempo ha capito che il presente può accogliere il ruolo di una destra democratica, ma non certo fascista. Disse una sciocchezza, otto anni fa, ma fece anche Fiuggi, parlò in modo chiaro delle leggi razziali, e non vi è nessuno (serio) che possa oggi vedere in Alleanza Nazionale una minaccia per la democrazia (anzi, semmai c’è qualcuno che la chiama a garantirla).

Le sue parole di oggi sono state accolte con fastidio da un discreto numero di esponenti di AN, i quali parlano di orgoglio negato e tradizione offesa. Chissà se costoro si rendono conto di fare un gran favore a Fini, facendo apparire significative ed importanti parole che a persone come noi paiono meno che ovvie. Da leader politico, quindi, egli non coccola tutte le cretinerie della “base”, ma, sperando di accelerare il passo, butta la zavorra al destino che merita. Non basta, per essere considerato, qui ed all’estero, un uomo politico da valutarsi per quel che fa e non per quel che fu, dovrà spingersi oltre. Ma intanto fin qui è giunto, e non è poco.

Mi permetto di aggiungere che queste considerazioni possiamo farle noi, che non abbiamo un passato né da rinnegare né da rivedere (anzi, lo portiamo con piacere sulla faccia), difficilmente potrebbero essere credibili sulla bocca di altri che, ancora oggi, fanno fatica non solo a riconoscere gli errori (appositamente finanziati dai comunisti sovietici) di appena ieri, ma anche solo a considerare il Gulag sullo stesso piano di orrore dell’incubo concentrazionario nazista.

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