Un pezzo della sinistra ha manifestato contro Giorgio Napolitano. Se si sente il bisogno di difendere qualche cosa, in questo caso la Costituzione, è segno che si ritiene qualcuno la stia minacciando: chi? In questi giorni è un po’ ammaccato il nemico ideale, colui il quale ha consentito a tante coscienze morali di sentirsi in pace con se stesse, anche quando dicevano cose insensate e sostenevano operazioni immorali. Tutto si può credere, tranne che ad Arcore la Costituzione sia in cima ai pensieri degli avventori. Allora: chi la minaccia? Il pericolo viene, dicono i manifestanti (Zagrebelsky, Rodotà, Ciotti, Landini e altri), dall’idea di riformare la costituzione usando una commissione. Che è stata voluta dal governo Letta. Cui è stata suggerita dal Quirinale. Il pericolo, quindi, viene dal Colle più alto.
Ove avessi avuto dei dubbi, me li hanno tolti ieri, di prima mattina: partecipando a un dibattito di Omnibus ho sentito Michele Emiliano, sindaco di Bari, esponente del Pd, al fianco di Matteo Renzi nella corsa per il congresso di quel partito, l’ho sentito non solo dire peste e corna del governo, non solo sostenere che non si devono fare alleanze con “quella gente lì” (vale a dire il Pdl), ma che Napolitano ha un comportamento “pretercostituzionale”. Emiliano faceva il pubblico ministero, sicché traduco tale termine misto fra giuridichese e politichese: Napolitano sta scassando la Costituzione, anche al di là delle sue intenzioni. Allora ho domandato a Paolo Ferrero, leader di Rifondazione comunista: manifestate contro Napolitano? Mi ha risposto: manifestiamo a difesa della Costituzione, ma considero Napolitano il peggiore presidente della Repubblica. Risposta chiara. Le avesse dette qualche esponente del centro destra, queste cose, sarebbe già impalato.
Entriamo nel merito. I contestatori hanno ragione, sia circa gli evidenti deragliamenti del Quirinale, sia relativamente al meccanismo di modifica della Costituzione. Sul primo aspetto ho scritto tante volte. Sul secondo avvertii subito che era alquanto anomalo avere un ministro per le riforme costituzionali, giacché non sono materia governativa. Appartengono al potere legislativo, non a quello esecutivo (che è a sua volta legislativo, ma sono con i decreti legge, e ci mancherebbe solo questa!). Il tema dell’articolo 138 (che regola le riforme costituzionali) è complesso, perché concepito per riforme specifiche e puntuali. Senza dimenticare, però, che la Costituzione è già stata cambiata non solo per commi e articoli, ma anche per sezioni, come accadde con la riscrittura del Titolo quinto, a opera della sinistra (ma allora tacquero, o si parlarono nella cravatta, le alate coscienze).
Il nostro dibattito politico è così ciecamente fazioso che antepone il “chi” ha parlato al “cosa” ha detto. Ci si orienta per schieramenti, e usando la bussola del contro. Non lo accetto e ripeto: i contestatori hanno ragione. Ma quelle ragioni vanno tenute assieme ad altre, non meno rilevanti, ovvero alla necessità di cambiare la Costituzione. Qui ha ragione Napolitano. Purtroppo, però, le prime ragioni vengono esposte e difese con nettezza, mentre le seconde con ipocrisia. Ad esempio: che senso ha dire (come ha fatto anche Enrico Letta) che la Costituzione non deve essere stravolta, ma il bicameralismo perfetto deve finire? E’ incoerente: la Costituzione del 1948 volle il bicameralismo perfetto apposta per evitare sia che il governo fosse troppo forte, sia che le leggi passassero senza che fino all’ultimo potessero essere cambiate. Allora, dopo la distruzione istituzionale coincisa con la guerra, fu scelta saggia. Oggi è permanenza irragionevole. Ma si deve avere il coraggio di dirlo, senza cincischiare con le parole e senza negare che già quel cambiamento ha portata notevolissima. Così come si deve dire che se non ci sbrighiamo a riscrivere il ruolo del presidente della Repubblica, essendosi avverata la profezia di Piero Calamandrei e l’elasticità di quel potere giunta a estensione enorme, non è che ci ritroviamo con un presidenzialismo di fatto, ma con una monarchia politicamente interventista. Una specie di papismo.
Le due ragioni vanno tenute assieme. Cosa non impossibile, se solo si adotta un linguaggio limpido e non si pretende di far credere che la Costituzione sia affar di professori. Dato che siamo in autunno, segnalo ai conservatori della Costituzione il vero e più grande pericolo: che la si veda cadere a pezzi, come foglie morte.
Pubblicato da Libero