Politica

Fra maggioritario e grande coalizione

Siamo appena agli esordi di una lunga, troppo lunga campagna elettorale, e già in molti ne danno per scontato il risultato: che vincano gli uni o gli altri non riusciranno a governare, perché avranno alleati che glielo renderanno impossibile. E fin qui, sebbene le cose non stiano proprio così, c’è del vero, e ce n’è in abbondanza. Le due coalizioni sono nate “contro”, e si vede.

Quella di centro destra nacque per evitare che il partito di Occhetto approfittasse della carneficina giudiziaria per impadronirsi del governo, praticamente senza avversari. Ci riuscì (fortunatamente), ed in quel momento nacque la coalizione di centro sinistra, ponendosi contro chi aveva vinto le elezioni del 1994.

Ora, state attenti ad un dato minore, ma che spiega molte cose: le due coalizioni sono degli insaccati, dentro cui si pigia di tutto, pur di vincere, financo i fascisti che amano dirsi tali ed i comunisti che non si vergognano a dirsi tali, ma tutte e due ci tengono a definirsi centro: centro destra e centro sinistra. Destra e sinistra significherebbe e suonerebbe diversamente. Sapete perché? Perché per tutto il corso della storia repubblicana la destra e la sinistra, i fascisti ed i comunisti, sono stati una minaccia per la democrazia e per la libertà. Eredi, i primi, di un regime liberticida che aveva condotto l’Italia al disastro, seguaci, i secondi, di un regime che praticava la morte e li finanziava. L’Italia, ovviamente, stava altrove, ed i numeri elettorali lo dimostravano.

Contro il bipolarismo degli insaccati c’è chi ha accarezzato l’idea di un grande centro. Non ci ho mai creduto perché non viviamo da soli, su questo pianeta, e le condizioni internazionali che resero possibile la forza ed il ruolo della democrazia cristiana non ci sono più (e se ci fossero state quel sistema non sarebbe crollato). Quindi dobbiamo imparare a sbrigarcela da soli. E qui nascono due scuole di pensiero: la prima dice che le democrazie funzionano se chi vince governa e chi perde fa l’opposizione, preparandosi a governare; la seconda sostiene che son tutte balle, che con due coalizioni di questo tipo tanto vale provare a mettere d’accordo le persone ragionevoli di una parte e dell’altra. La prima scuola reclama il rispetto del maggioritario e del mandato elettorale, la seconda indica la via di una grande coalizione. Non sembri tartufesco, ma hanno delle ragioni tutte e due le scuole.

L’alternanza di governo non è solo il succo della democrazia, ne è anche la sua moralità. E non tanto perché il ricambio scolla le incrostazioni e riduce le tentazioni, quanto perché la politica seria non sbandiera ideologie, ma rappresenta interessi e li inserisce in un disegno di sviluppo. Se gli interessi rappresentati fossero sempre gli stessi il meccanismo si bloccherebbe, regredendo verso la feudalità, o ciascuna forza diventerebbe rappresentativa d’interessi contrapposti, degenerando nel consociativismo. Purtroppo, però, il bipolarismo salsiccia style riproduce la plurirappresentanza degli interessi in ciascuna coalizione che, difatti, o vince e governa meno di quel che vorrebbe e dovrebbe (come nel caso della Casa delle Libertà), o vince e poi si spappola in Parlamento (come nel caso dell’Ulivo).

Siccome la realtà ha una forza superiore alle fisime di chi si trastulla con i pensieri assoluti, checché ne scriva Paolo Mieli, la valvola di sfogo è, in ogni caso, il trasformismo. Noi italiani siamo andati, e giustamente, a far la guerra nel Kossovo perché la coalizione di sinistra mandò a casa Prodi ed utilizzò alcuni voti della destra. Io oggi voterei volentieri la linea Fassino per l’Iraq, ove egli fosse il ministro degli esteri, se dalle parole passasse ai fatti e scaricasse il neutralismo cattolico ed il pacifismo beota e multicolore (salvo fargli notare che la sua dottrina odierna fa a cazzotti con il suo voto contrario alla missione irachena). Non ci sarebbe nulla di male, e la democrazia funzionerebbe splendidamente, se il variare delle maggioranze portasse con sé un aggiornarsi ed evolversi delle coalizioni.

Invece non accade, e non accade perché, quando fa comodo, si continua ad alimentare un dissennato clima da guerra civile. Ogni volta che si racconta al popolo della sinistra che Berlusconi va avversato non per la sua politica, ma per la sua moralità o le sue pendenze giudiziarie, si spezzano le gambe al sistema democratico. Quella è l’arma della guerra civile, non della battaglia politica. Prima di far lezioni su come dovrebbero funzionare i sistemi democratici il direttore del Corriere della Sera potrebbe utilmente domandarsi quale condotta ha seguito il suo giornale a proposito del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio: finché danneggiava i risparmiatori (vicenda Cirio) poche critiche ed assai misurate, quando, invece, s’è messo a spalleggiare un gruppo che non escludeva di scalare il quotidiano milanese, invece, sono tornate buone le armi della guerra civile e giudiziaria, con tanto di sinistra di complemento al seguito. Ecco, sulle pagine del quotidiano che dirige può trovare ampia spiegazione del perché non ha molto senso dare lezioni di coerenza bipolarista.

Tornando a noi, maggioritario o grande coalizione? Non ha funzionato il primo e non ci sarà la seconda. Nella prossima legislatura, oltre tutto, potrà sedere in Parlamento un gruppo di persone eletto grazie al premio di maggioranza, il che non diminuirà la disomogeneità delle coalizioni ma renderà più rigido il rispetto degli schieramenti. Se questo Paese potesse giovarsi di una classe politica all’altezza dei problemi la grande coalizione la faremmo domani mattina, prima ancora delle elezioni, ma la faremmo sui fondamentali: soppressione di ogni focolaio di guerra civile, reciproco riconoscimento di legittimità, rispetto della posizione internazionale dell’Italia, risanamento della palude giudiziaria e raddrizzata dei conti pubblici. Questa sì sarebbe una grande coalizione in grado non di otturare, ma di aprire le vie del confronto democratico, libero da pendenze del passato, libero da ipocrisie, capace di rappresentare gli interessi senza che a nessuno venga in mente di rimproverarlo come fosse affare criminale.

Ma non si farà, ed al suo posto ci sarà una lunga campagna d’opposti schieramenti. Il che non produrrà un sano sistema d’alternanza perché quanti s’impancano a professori di bipolarismo sono poi gli stessi che al clima da guerra civile ed alla palude giudiziaria non rinunciano, per regolare conti propri ed altrui, così violando la condizione di base su cui il bipolarismo può reggersi.

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