Non sfugga il nesso fra il protezionismo economico e la maggiore spesa necessaria per la difesa, fra i dazi e il riarmo. È strettissimo e pesa a causa di chi crede sia meglio difendere gli interessi nazionali in solitudine, piuttosto che coltivare i rapporti internazionali e accettarne la regolazione nella convivenza di interessi diversi. Non viviamo né in un mondo disarmato né in un libero mercato globale, che sono due ideali (pace e benessere) cui tendere e non sono né saranno mai realtà permanenti. Ma una potenza nucleare, un membro del Consiglio di sicurezza dell’Onu (la Russia) che invade uno Stato sovrano per predarne le terre e un altro (gli Usa) che rinnega il multilateralismo hanno un effetto che neanche volendo può essere ignorato, perché produce frammenti che toccherà ricomporre.
Sebbene in modo diverso, quelle potenze invocano i miti del passato: da una parte il sangue e suolo, la lingua come nazionalità (la logica che i nazisti scelsero per iniziare la catastrofe); dall’altra il far credere che sia più ricco il popolo che consuma quel che produce e non baratta i propri soldi con quel che desidera e che altri producono. Due illusioni nefande, che la storia smentisce da secoli e che nei secoli tornano a gola speculando sulle paure e sulle ignoranze.
Si può sostenere che noi europei si sia rimasti indietro, a difendere il passato. Ma si può anche osservare che stiamo preservando le condizioni perché possa essere prodotto un futuro migliore del presente. Il paradosso è che proprio il benessere e la ricchezza fanno rimpiangere a molti il passato in cui mancavano e si conquistarono piuttosto che far aspirare al futuro in cui possano crescere. Perché così sarà, a dispetto di quanto sta accadendo per impedirlo.
Nella condizione che si è creata, chi non fosse in grado di difendersi da solo (che per noi significa difesa europea) non sarebbe neanche in grado di commerciare da solo. È sempre stato così, ma quelle scelte improvvide di cui si diceva asfissiano le aree di sviluppo guidato dalla sana logica della convenienza. Le catene globali del valore saranno più forti dei nazionalismi ottusi o guerrafondai, ma non per grazia ricevuta, bensì per impegno consapevole.
Come previsto, i dazi di Trump hanno creato più guai in America che altrove (dove pure ci sono stati danni). La Cina esporta alla grande e anche noi europei (e noi italiani) non andiamo male, mentre negli Usa provano a rimediare all’aumentato costo delle importazioni. Se protezionismo e riarmo sono legati, lo sono anche accordi commerciali e mantenimento della pace. Per questo è necessario aumentare le aree del mondo in cui sono possibili e per questo Francia e Italia hanno commesso un grosso errore sull’accordo con il Mercosur, area dell’America Latina. Non è l’Ue ad avere sbagliato, ma Francia e Italia.
Difendono i nostri agricoltori? No, è un falso. Abbiamo l’esperienza del Ceta, con il Canada, che ha portato ricchezza ad ambo le parti e che ancora non abbiamo ratificato. Per viltà politica. C’è chi vuole fare il liberale, fra Forza Italia, la destra ragionevole e la sinistra riformista? Ne chiedano l’immediata ratifica e non tacciano per viltà.
L’Italia è il principale produttore mondiale di kiwi, che però non è un frutto italiano ma neozelandese. È successo grazie ai mercati aperti, alla globalizzazione e alla libera competizione, portando ricchezza ai produttori e benefici ai consumatori. Queste sono le cose che ci rendono ricchi e forti. Si spera che Macron e Meloni abbiano chiesto un rinvio solo per mascherare la loro debolezza davanti a manifestazioni che sarebbero legittime se non fossero violente (ricordate i trattori e il latte versato contro il Ceta? Perché non si va a chiedere come sono poi andate le cose?).
Ci si pensi, durante queste ore in cui i giornali decidono di non uscire, quasi desiderosi di dimostrarsi irrilevanti. Meglio competere che confliggere: aiuta a capire che chi aggredisce e chi fa trincee alle frontiere costruisce miseria morale e materiale. Auguri.
Davide Giacalone, La Ragione 24 dicembre 2025
