Politica

Frullato costituzionale

Pensare che tutto si riduca ad uno scontro fra Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi significa capire poco di quel che succede, del disfacimento istituzionale cui assistiamo, riducendo tutto a raffigurazioni macchiettistiche. Nel giro di pochi giorni il Quirinale ha sostenuto che si può ben andare a bombardare la Libia senza per questo sentire il bisogno di consultare il Parlamento, salvo considerare tale passaggio indispensabile laddove si nominano dei sottosegretari, del cui blasone e del cui operato, con ogni probabilità, conserveranno memoria solo i loro familiari. C’è qualche cosa di grosso, dietro tale inoccultabile contraddizione.

Accade questo: non solo è giunto ad un livello insostenibile il divorzio fra Costituzione scritta e costituzione materiale, ma si sono scambiate le parti. Nel corso di questa legislatura il ripetuto e disperato tentativo di abbattere Berlusconi, sfociato nel ripetuto, disperato e riuscito tentativo di salvarsi, da parte di quest’ultimo, ha fatto impazzire la maionese istituzionale, che si sta liquefacendo e irrancidendo sotto i nostri occhi. Partiamo dall’ultima iniziativa del Presidente della Repubblica, per capire la dinamica del gioco. E per capire come se ne può uscire.

Dal punto di vista formale, stando alla Costituzione scritta, i sottosegretari possono ben essere nominati senza che vi sia il benché minimo bisogno di un voto parlamentare. Non solo questo è evidente a chiunque legga il testo del 1948, ma vi sono caterve di precedenti che depongono in tal senso. Ma Napolitano non s’è mosso alla cieca, il tasto su cui ha battuto è assai sensibile, sebbene appartenente ad uno spartito opposto a quello fin qui adottato, sia da lui che dalla sinistra. Sosteneva Berlusconi, all’inizio della legislatura: viviamo in un sistema maggioritario e bipolare, ho ottenuto la maggioranza dei voti ed eletto la maggioranza dei parlamentari (utilizzando il premio di maggioranza), se una scissione, una congiura di palazzo o una qualsiasi altra ragione mi tolgie quella maggioranza e mi butta giù si deve subito andare a nuove elezioni. Sostenevano al Quirinale, accompagnati dal coro della sinistra e dei costituzionalisti di debole costituzione: ma quando mai? nella nostra Costituzione è scritto che tocca al Presidente della Repubblica accertare l’esistenza di una maggioranza in Parlamento, senza alcun limite di schieramento, anche utilizzando i parlamentari che il premio di maggioranza assegnava al tuo governo (i finiani), sicché, caro cavaliere, se cadi ti scansi e lasci lavorare le persone serie e competenti. Capita l’antifona, messa alle spalle la scissione finiana, Berlusconi s’è dato da fare per sopravvivere alle condizioni date. La fine del governo era fissata per il 14 dicembre, quando si sarebbe votata la mozione di sfiducia. Lui ha provveduto a commuovere qualche coscienza sensibile e ha portato a casa una maggioranza. Diversa, più risicata di quella iniziale, ma pur sempre una maggioranza.

Fummo noi, in quel momento, a rilevare che ciò equivaleva alla smentita dell’impostazione originaria, con tanti saluti a qualche tonnellata di retorica bipolarista e maggioritaria. Ma, si sa, noi apolidi contiamo poco e nulla. La cosa singolare è che la posizione lasciata libera da Berlusconi è stata occupata da chi si era eretto ad interprete esclusivo della Costituzione scritta: Napolitano. Salvo che, nella Carta, quel principio maggioritario e bipolare non c’è. Ma la tentazione era forte, anche perché la nomina dei sottosegretari è una di quelle operazioni esteticamente non eccelse, politicamente non nobili e trasformisticamente deprecabili anche agli occhi di una parte degli elettori di centro destra. Fra i migranti provenienti dall’opposizione e fra quelli che si sono lanciati con l’elastico, prima uscendo e poi rientrando in maggioranza, ci saranno certo persone di qualità, che non conoscono, ma scarseggiano quelli di cui si ricorda un pensiero. Quindi, quale migliore occasione? Invece, al Quirinale avrebbero fatto meglio a perderla, perché non solo si conferma che il Colle è divenuto il laboratorio dell’opposizione (due giorni fa Napolitano spiegava come deve essere una seria sinistra di governo, confermando la regola che chi sa fa e chi non sa insegna), ma per giocare questa partita ha dovuto prendere in mano le carte che Berlusconi aveva lasciato sul tavolo, cambiando posto.

I torti e le ragioni, come si vede, sono frullati. Da questo labirinto si esce solo rimettendo in coerenza il sistema costituzionale con quello elettorale, cambiando entrambe. La qual cosa non riguarda solo il mondo politico, ma l’intero Paese. Confindustria compresa. La seconda Repubblica è da tempo al capolinea. Con porte e finestre chiuse si soffoca.

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