Politica

Fughe costituzionali

Cambiamo la Costituzione e liberiamo l’impresa, dice il governo. Troppe regole nuocciono al mercato, ricorda il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi. Visto che soffia ‘sto popò di vento liberista, anche la sinistra si ricorda d’aver fatto qualche cosa di buono, così Pier Luigi Bersani rimette mano alle “lenzuolate”. E noi, che in difesa del mercato conduciamo battaglie che ci portano a prendere schiaffi da ambo le parti, a due a due finché non fanno dispari, non sappiamo se sentirci confortati o presi in giro. La seconda che ho detto, mi pare più probabile.
Il fatto è che sui giornali una pagina non legge l’altra, in politica quel che si dice la mattina non tiene conto di quel che si è detto la sera prima e molti commentatori hanno il cervello a compartimenti stagni, talché la parte che difende il liberismo non comunica, per prudenza, con quella cui tocca allinearsi agli interessi corporativi e conservativi di riferimento. Veniamo alle questioni concrete, così ci capiamo: tutti vogliono semplificare, in modo che si possa aprire un’impresa in un solo giorno, usando l’autocertificazione, lo vogliono con tale foga d’essersi dimenticati d’averlo già fatto, portando a casa un clamoroso fallimento. E sapete perché? Perché di partite iva millantate per imprese, in Italia, ce ne sono fin troppe, e il loro sorgere come funghi è segno che non è poi così difficile metterle al mondo, salvo il fatto che non producono abbastanza ricchezza, perché il terreno è secco e il sole batte.
Ci sono due domande cui si deve rispondere, per far finta di star parlando seriamente. La prima: a che serve far nascere un’impresa con l’autocertificazione, se poi devi aspettare i controlli che ti possono far chiudere? A niente, perché nelle more dell’accertamento l’imprenditore non rischierà soldi propri e la banca non glieli darà in prestito. Prima di aver finito la collezione di bolli, non si batte un chiodo. E neanche dopo, le cose vanno meglio, perché le norme da rispettare sono talmente tante e talmente cervellotiche che, se ti pigliano di punta, possono incenerirti in qualsiasi momento. Seconda domanda: a che serve far nascere l’impresa in un giorno, e senza costi se, poi, per tenerla in regola con il fisco devi pagare la tassa occulta del commercialista, cui consegni una montagna di carte, ogni mese, e che, a sua volta, si trasforma in una specie di precursore e sostituto del fisco stesso, rompendoti l’anima e facendoti perdere tempo? A niente, perché quelli che contano non sono i costi d’avvio, ma quelli di gestione.
Sono un professionista, una partita iva. Un  giorno il commercialista mi spiegò che avevo troppi computer. Troppi? Ne ho quanti me ne pare. Eh no, perché il fisco potrebbe dubitare che lavori da solo con dieci computer. Ma sono vecchi, messi in un armadio. Vero, ma sempre formalmente operativi, quindi devi smaltirli e farti rilasciare l’apposito certificato. Ci ho messo venti giorni, telefondando, supplicando, pagando bollettini postali, prendendo appuntamento con l’apposita municipalizzata. Quando si presentarono avevano un camion enorme, dentro il quale raccolsero solo la roba mio: ero l’unico fesso a non avere falsificato i documenti. Che il cielo li fulmini. Ma queste cose non le sanno, i nostri semplificatori della domenica, perché nella vita è capitato loro di tutto, tranne che lavorare.
Parliamo della Costituzione: cambiarla sarebbe giustissimo, ma farlo come fece la sinistra, con l’infamia scassastato del titolo quinto, è criminale. Cambiarla a spizzichi e bocconi è da incoscienti. Ripeto: sarebbe giustissimo, anche relativamente alla prima parte, anche quel pittoresco articolo primo, ma va fatto con metodo. Altrimenti si prendono micidiali cantonate. Ricordo bene il dibattito sul concordato, il dilemma se cambiarlo o lasciarlo come lo avevano firmato Gasparri e Mussolini. Un grande cattolico liberale, Arturo Carlo Temolo, sosteneva che era meglio lasciar perdere, perché quel testo, oramai, era una “foglia morta”, che non c’era ragione di rinverdire. Non aveva tutti i torti. Se si mette mano all’articolo 41 (libertà d’impresa) non si può certo farlo per dire che l’iniziativa privata si dispiega in assoluta libertà, senza limiti, né vale la pena subordinarla a principi diversi da quelli, desueti e cattocomunisti, oggi colà iscritti. Allora, che ci scriviamo? A volere essere sensati ci scriviamo che l’impresa è libera nei limiti della legge. Punto. Bello. Ma anche inutile, perché da noi la legge è un’opinione, sia perché le cambiano in continuazione, sia perché la giustizia è una scandalosa schifezza. Quindi, per farla breve, se volete far funzionare il mercato dovete far funzionare la giustizia. E qui si gira pagina, passando alla pagliacciata delle intercettazioni, che, come ognun vede, c’entra nulla è approderà al niente. Ma tiene tutti occupati, da anni.
Naturalmente, sono ammirato dall’abilità con cui, dovendo affrontare migliaia d’emendamenti parlamentari al decreto che taglia la spesa pubblica, si riesce ad aprire anche un simposio sull’ipotesi di cambiare la Costituzione. Come quell’atleta che, non riuscendo a saltare in alto più di due metri fa mettere l’asticella a tre, in modo da passarci sotto più comodamente. Ma, a parte l’ammirazione, resta il fatto che questi sono temi maledettamente seri, di cui sarebbe bene parlare senza limiti di schieramento. Capita, invece, che tutti ne parlino, ma dimenticando di farlo seriamente.

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