Il Presidente della Repubblica si guarda bene dall’essere il silenzioso custode delle regole, preferendo giocare un ruolo attivo e preventivo. Non si tratta di una novità introdotta da Giorgio Napolitano, ma del graduale trasformarsi della prima carica statale, mano a mano che la Costituzione del 1947 viene travolta per non essere cambiata. La dottrina ora esposta è la seguente: niente elezioni anticipate e niente governo “tecnico”. Con un corollario: finché zampillano dossier che colpiscono il presidente del Consiglio, l’affare non riguarda il Quirinale, perché la faccenda va risolta in Parlamento, ma se emergono storie fastidiose per il presidente della Camera, che non può essere rimosso dai parlamentari, dal Colle si fa sapere che è ora di piantarla, perché della difesa di Gianfranco Fini s’incarica Napolitano. Dietro ciò s’intravede un disegno politico, che non è detto affatto sia coincidente con gli interessi della sinistra.
Ieri dicevamo delle cose ovvie e inutili, del tipo: in un momento di crisi ci vorrebbe un governo autorevole e operoso, non certo polemiche e competizioni elettorali. Visto che vengono continuamente rilanciate e ripetute mi pare evidente che accanto ai più ingenui e sprovveduti c’è chi ha in mente una strategia precisa. Funziona così: se c’è un cortocircuito l’elettrocalamita di sicurezza fa saltare l’energia elettrica, in modo da non far morire tutti arsi e fulminati, ma se, a quel punto, si mettono in circolazione dei sapientoni per spiegare che l’elettricità è utilissima e vitale, mentre il responsabile della centralina mette un manico di scopa sotto l’interruttore, è segno che si sta perseguendo un fine: lasciare che qualcuno si fulmini. Ecco, Napolitano ha deciso che è bene qualcuno resti folgorato.
Visto che la luce non va via, che la legislatura non si scioglie in fretta, ne deriva che la maggioranza di governo sarà costretta ad un passaggio inutile: proporre una mozione di fiducia, nella quale si evochino quattro o cinque punti, definiti essenziali e decisivi. Se il voto parlamentare sarà negativo, la palla passerà a Napolitano, che palleggerà a lungo e con destrezza. Se, come mi sembra più probabile, qualche defezione finiana o qualche tatticismo monegasco confermeranno la fiducia, talché il governo possa proclamare la continuazione della crociera, annunciando di spiegare le vele al vento. Ma sarà una presa in giro, perché vele e scafo saranno solo malamente rattoppati e la navigazione parlamentare alquanto incerta. La maggioranza, se capita ciò, verrà marinata lentamente, e con quella Silvio Berlusconi. Quando lo sfinimento sarà totale, ogni ribaltone diventerà possibile.
Ciò significa che Napolitano gioca, con la maglia di capitano, nella squadra dell’opposizione? Non esattamente. Il Partito Democratico non ha nulla da guadagnare, da uno scenario simile. Se il brodo della legislatura s’allunga il pd si spappola, perché diverse componenti, da sinistra e da destra, sceglieranno di vivere diversamente, o, almeno, di morire dignitosamente. Il tempo favorisce le forze che oggi sarebbero perdenti, in caso d’elezioni anticipate, a cominciare dalle formazioni neo centriste. Il loro rafforzamento, però, avviene a scapito delle forze più consistenti, con un maggior peso sul predestinato alla sconfitta: il pd. Ecco perché Pier Luigi Bersani ha cominciato a parlare d’elezioni anticipate, per giunta sottolineando la necessità di restare uniti: proprio perché vede il pericolo dello sfarinamento. Ed ecco perché nascono le iniziative per nuovi ingressi in campo, come anche per la creazione di destre antiberlusconiane (cosa più che legittima, se solo avvenisse prima del voto e non “invece” del voto): per favorire lo sfarinamento.
Ma, allora, perché il Quirinale lancia quei segnali? Per due ragioni. La prima per sottolineare il peso della propria posizione, mettendo in evidenza che Berlusconi non è affatto solo, in un deserto d’idee e di politica, ma c’è chi è ancora capace d’incenerirne le ambizioni. La seconda per tracciare un sentiero che porti fuori dalla seconda Repubblica senza cambiarne l’architettura costituzionale, quindi dissolvendo i protagonisti politici che hanno animato questa stagione. Sia a destra che a sinistra. Un gioco con carambola, che consente di dirsi custodi dell’ortodossia costituzionale, trafiggendone la natura profonda.
Mi fermo qui, ma c’è un’ultima osservazione da fare, decisiva: tutto questo, comunque lo si giudichi e quali che ne siano gli esiti, richiede tempo, mentre le difficoltà economiche non ne concedono. Il nostro tasso di crescita è il più basso d’Europa (se si escludono Grecia e Spagna, ancora in recessione, e un Portogallo che boccheggia) e la ragione di ciò sta nella mancata ristrutturazione industriale, ma anche istituzionale e politica. Siamo un Paese fermo. Siamo stati bravi nel non spendere, quindi nello stare fermi, ma mostriamo tutte le nostre debolezze non appena è necessario muoversi. L’immobilità e il non cambiamento hanno un costo, che si scarica sui cittadini meno garantiti. Che, con ogni probabilità, sono anche i meno interessati ai sussurri e agli sgambetti di palazzo. Una miscela esplosiva, se solo uno degli ingredienti supera il livello di guardia.
Sicché ci si rammenti che la rappresentazione politica non è gratis, neanche per chi le volta le spalle e s’occupa d’altro. Così come vale la pena segnalare che non rimuovendo quel manico di scopa si comincia sentendo sfiziosi sfrigolii, si continua deliziandosi con le scintille, e si finisce con il vivere esperienze elettrizzanti. Non necessariamente piacevoli.