Politica

Fuochi

giacalone editoriale la ragione 8 maggio 2025

Il mondo non è mai stato in condizioni di pace, ma ora è in un clima di guerra. Non si è mai smesso di spendere in armi, ma con l’idea che non le si dovesse usare. Tanto che si promuovevano accordi di non proliferazione (che hanno funzionato), tendenti a tutelare l’equilibrio del terrore ma portandolo a un livello più basso, quindi spendendo meno. Ora è diverso: si corre a spendere in armi con l’idea che si potrebbe essere costretti a utilizzarle, perché altri già le usano. Quel che accade fra India e Pakistan non è la riedizione di un conflitto mai sopito, ma un nuovo scenario in cui nessuno sembra in grado di esercitare un controllo che circoscriva gli incendi. Il mondo è divenuto comburente. E la responsabilità è di scelte improvvide, dietro le quali c’è una debolezza culturale e morale.

Il mondo multilaterale era colmo di squilibri ma capace di arginare gli squilibrati. L’Onu non è un ente inutile ma neanche il governo del mondo. Resta una sede di dialogo diplomatico che non comporta in sé delle soluzioni ma ne favorisce la ricerca. Al suo interno il Consiglio di sicurezza garantiva che gli scontri, mai mancati, non comportassero la messa in discussione degli equilibri generali. Le Corti internazionali, che siano penali o del commercio, non sono delle pagliacciate ma la sede in cui si prova a ricondurre al diritto umano la gestione di conflitti altrimenti dilaganti. La globalizzazione di scambi, produzione e consumi non ha trasformato il mondo in una grande cooperativa ma ha fatto crescere enormemente la ricchezza globale e ridotto di molto gli squilibri economici. Un mondo che rinneghi tutto questo diventa un mondo in guerra.

L’ottusa pretesa nazionalista di ricondurre tutto ai propri interessi nazionali e alla propria prosopopea prelude a un’offesa a quegli interessi e a un’umiliazione della propria sovranità. Si sono accesi falò con l’idea di festeggiare qualche campagna di ritrovata sovranità e si è poi perso il controllo delle fiamme, che minacciano il rogo delle nazionalità. Perché il nazionalismo rattrappito dentro le frontiere di ciascuno viene puntualmente violato dal nazionalismo di chi vuole sfondarle.

Non sono fiamme appiccate nelle ultime settimane: s’è lungamente soffiato sui tizzoni ardenti dei miti storici. La novità è che il pompiere ha pensato di usare l’acqua per bersela, convinto di soddisfare la propria sete e ritrovandosi a non potere più gestire l’arsura.

India e Pakistan non erano in pace e armonia ma ciascuno era indotto a guardare altrove, cercando gli spazi del proprio prosperare. Ma se la Russia di Putin teorizza la fine delle democrazie liberali e pratica la guerra per allargare i confini, se la Cina di Xi vede in quella follia un’arma per indebolire l’Occidente e legittimare le proprie pretese, se gli Usa di Trump pensano di usare i dazi come arma di regolazione geopolitica e rinunciano al ruolo di gendarme globale (contestandone i costi e dimenticandone i benefici, anche economici), se le monete delle contabilità globali vengono messe in dubbio e si apre la corsa alle valute immaginarie (già da sole capaci di scardinare l’idea stessa di Stato), allora i fuochi divampano. India e Pakistan tornano a guardarsi e ritrovano le ragioni della guerra guerreggiata.

Tutto questo non si argina con i predicozzi. Lo stesso falso pacifismo diventa un incitamento a usarlo per fiaccare il mondo libero e un’occasione per sovvertire gli equilibri di forza. Così le marce per la pace prendono il segno della rinuncia al dovere di difendersi e di difendere gli aggrediti, mettendo la divisa cammin facendo e divenendo plotoni altrui.

I fuochi accesi sono troppi per immaginare che qualcuno abbia la casa protetta e respiri aria pura. Le democrazie soffocano se chi le abita pretende di dimenticare il mondo in cui vive, se si crede che trafficare con chi pratica la guerra sia un affare, se dal discorso pubblico si cancella il pericolo per invece accudire l’impossibile pretesa di sentirsene estranei.

Davide Giacalone, La Ragione 8 maggio 2025

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