Negli Stati Uniti l’economia va bene: nel terzo trimestre il Prodotto interno lordo è cresciuto del 2,8% e sempre al 2,8% è la crescita prevista dal Fondo monetario internazionale per il 2024. In Italia le cose sono più problematiche: nel terzo trimestre la nostra crescita stimata è pari allo 0%, il che tende a escludere una crescita annua dell’1% (come previsto dal governo) e complica anche il raggiungimento di quello 0,8% previsto dal Fmi. Questi numeri non sono i soli indicatori esistenti, ma sta di fatto che negli Usa l’occupazione è cresciuta più che da noi e benché i tassi d’interesse siano più alti, come anche l’inflazione, i salari si sono adeguati molto più velocemente, salvando il potere d’acquisto dei lavoratori. Eppure negli Usa il gradimento del governo scende e in Italia cresce o si mantiene alto. Ha un significato.
Guardando da lontano lo si coglie meglio: nella campagna statunitense si parla al passato ed è stato cancellato il futuro. Per l’uno si deve tornare grandi come una volta, per l’altra si devono salvare le libertà e le istituzioni una volta conquistate. Se anche si parlasse del futuro, come quando se ne parlava, non per questo ci risparmieremmo palate di retorica ed esagerazioni. Ma sta di fatto che lo si faceva sul futuro e ora lo si fa sul passato. Per grande parte delle società occidentali, quindi delle democrazie, sembra che il tempo migliore sia quello passato, da restaurare. S’è perso il futuro, da costruire.
Viviamo nella parte ricca del pianeta, con un benessere, una salute e una longevità sconosciute in qualsiasi passato si voglia andare a cercare. Ma questo non basta a segnare l’umore, come non bastano i dati economici. Il passato che si invoca è in gran parte mitico. Si era meno ricchi ma ci si arricchiva più in fretta. Per ragioni di forza militare o di capacità culturali avevamo meno concorrenza nel mondo. Ma questo secondo aspetto, culturale, è un bene e non un male. Fatto è che chi si sentiva dominante ora coltiva la paura. E la politica offre al mercato quel che il mercato chiede: paure. Per forza che si cancella il futuro, perché immaginando un passato mitizzato è il presente a intimorire e il futuribile a sparire.
Prendete il caso della “spazzatura”, che la dice lunga. Trump definisce «spazzatura» i portoricani, ma nessuno s’indispettisce, è fatto così. Biden gli risponde che «spazzatura» saranno i suoi sostenitori e apriti cielo, viene accusato di offendere i cittadini e la democrazia. Giacché oggi un capo politico non parla al popolo tutto ma alle proprie tifoserie. Agli uni piace aizzare e ringhiare, agli altri piace sentirsi scandalizzati e inorridire. Il risultato è che uno può esagerare all’infinito, l’altro indispettisce i suoi e presta il fianco al sentirsi accusare di quello che fa l’altro. Se uno inventa balle ridicole, per quanto sono colossali non scandalizzerà i tifosi che le riconoscono come tali e ammalierà gli allocchi che ci credono; se l’altro viene colto a non dire il vero, gli si dà subito del ciarlatano. Non sono due pesi e due misure, sono due popoli e due mondi. Non comunicanti.
Una classe dirigente cercherebbe di contrastare questo andazzo, senza rinunciare alle diversità di idee e programmi. Ma perché una tale classe esista occorre che abbiano un peso il futuro e quel che oggi si fa per viverlo al meglio. Se il futuro lo cancelli, se lo riempi di bile, non ci sarà mai classe dirigente ma soltanto cavalcatori del consenso, latrante o moralisteggiante.
C’è un dettaglio: mentre dentro le democrazie si consumano lotte bulliste e vendette (fenomenale, in Italia, la pretesa di ciascuno d’essere stato il più ingiustamente inquisito, come se non fosse evidente che il problema sta negli ingiusti inquisitori) e mentre a “noi” repellono “loro” (simpaticamente ricambiati), la Storia rimette in pista le dittature che la vendetta la vogliono sul serio, ma contro le democrazie. Che poi sarebbe contro il benessere in cui viviamo. Meriterebbe un po’ di attenzione, di tanto in tanto.
Davide Giacalone, La Ragione 1° novembre 2024
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