Politica

Futuro ipotecato

E’ la sindrome del Quirinale: quando il presidente comincia a intervenire nel gioco politico poi non la finisce più. Se ne conoscono i sintomi fin da Giovanni Gronchi, ma da Sandro Pertini in poi sono saltati i freni inibitori. In Slovenia, poi, Giorgio Napolitano ha miscelato in maniera sapiente i poteri costituzionali con il peso politico: prima ha cancellato l’ipotesi di voto anticipato, poi ne ha anticipato i risultati, annunciando quale sarà la politica governativa non solo dopo le elezioni della prossima primavera, ma anche dopo la fine del suo mandato. Non escludo che i tanti commentatori pensosi, studiosi e per benino, oramai travolti da adorazione monarchica, la definiscano: lungimiranza. Del resto, sono riusciti a commentare la lettera ai presidenti delle due Camere, ove li si sollecita ad approvare la legge elettorale a maggioranza, senza ricordare il monito fino a ieri glorificato: che sia “condivisa”, che non sia prepotenza della maggioranza. Le idee solide non cambiano nel tempo.

Al Quirinale diranno: il presidente ha solo ribadito, alla presenza del ministro degli esteri, l’afflato europeista dell’Italia e il mantenimento degli impegni presi, anche dopo le elezioni. Sorvoliamo sul ministro degli esteri, che fisicamente era al suo fianco, ma governativamente è non pervenuto. Stiamo agli impegni europei. Se è per questo possiamo anticipare i risultati del voto del 2013, del 2018, del 2023, del 2028 e del 2033, sempre che le elezioni si tengano a scadenza naturale. Li conosciamo perché il governo ha sottoscritto un impegno ventennale per il rientro dal debito. C’è solo un dettaglio: se lo perseguiamo usando lo strumento fiscale, soffocando l’Italia onesta, alla metà del cammino il capo del governo lo farà Scaramacai. Abc saranno ancora al loro posto, superando l’era primaria, ma vestiti da Sbirulino. Sicché respingiamo anticipatamente la replica quirinalizia, perché se continua in questo modo, se anche dopo le elezioni si farà finta di non sapere che lo spread viaggia per i fatti propri, sulla rotta di un euro mal concepito, mentre il debito potrà essere abbattuto solo con tagli profondi della spesa pubblica e dismissioni, che finora neanche si scorgono, e in quanto alla ripresa, al celebrato “sviluppo”, se ne coglieranno i palpiti solo scemando la pressione fiscale, ovvero liberando l’Italia che corre, se, insomma, non si cambia musica va a finire che le note saranno quelle della sonata numero 2, pera 35 di Chopin (che per motivi scaramantici non chiamo con il suo nome più consueto: mancia funebre).

Nel mentre Napolitano ipotecava il futuro, intestandolo a Mario Monti, quest’ultimo rammentava le virtù della prudenza, frammista ad una certa confusione istituzionale: non mi candiderò dopo il 2013. La coda del diavolo sta sempre nelle minuzie: candidarsi si può farlo “nel” e non “dopo” il 2013, andando a raccogliere il consenso degli elettori, come si conviene nel vecchio e non superato rito della democrazia, quel che si può fare “dopo” è essere nominati, chiamati, insediati perché gli eletti sono inetti. A Monti piace il ruolo, ma è abbastanza saggio da conoscerne le insidie, quindi toglie al Colle il gusto di potere assegnare i ruoli futuri, anche quando l’inquilino dell’ex palazzo papalino sarà il successore.

Monti, piuttosto, ha detto una cosa decisamente rilevante: è arduo sostenere che l’Italia non avrà bisogno di aiuti. Leggetele e rileggete, queste parole, perché c’è molta più verità di quanta non se ne trovi nei tanti volenterosi commenti, destinati a illustrare i meravigliosi successi internazionali e le lezioni impartite ai teutonici. Significa: nelle condizioni date non sta scritto da nessuna parte che la crisi dell’euro non ci travolga, costringendoci ad accettare quel che fin qui siamo riusciti ad evitare, ovvero divenire un protettorato della troika, ove uno dei tre è il Fondo monetario internazionale, onusto d’insuccessi e cinto d’errori.

In quel momento Monti non lo sapeva, ma stava ben rispondendo all’auspicio presidenziale: lasciamo perdere quel che avverrà dopo la primavera del 2013, perché la partita ce la giochiamo entro l’inverno del 2012. Manca poco al fischio d’inizio, ma negli spogliatoi si fantastica sull’esito del prossimo campionato, si discetta del prossimo allenatore e si scommette sui prossimo convocati. Come se la partita presente fosse già alle spalle.

Dobbiamo dare ai mercati una dimostrazione di consapevolezza. Lo ha detto Napolitano, dalla capitale slovena. I mercati. L’Europa. Fino a qualche tempo fa, da quelle parti e da certi leader politici, sarebbero state considerate bestemmie. Ma ha ragione: cerchiamo di essere consapevoli. Ciascuno nel ruolo che gli compete.

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