Il postulato di Lavoisier lo conoscono tutti – «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» – ma riguarda il mondo classico della fisica meccanica. In politica, ove abbondano i postulanti e s’esibiscono i postulatori, funziona in modo meno rassicurante: nulla s’inventa e poco si costruisce. Il vertice di ieri, fra alleati di maggioranza, è un sempreverde della politica. La scelta non è fra fare o non fare i vertici, ma in che rapporto questi siano con il lavoro del governo e del Parlamento. Per poi passare al rapporto con la realtà. Ad esempio in materia di affitti brevi e dehors.
Gli odierni “vertici” un tempo si chiamarono “consigli di gabinetto”. Dilagarono nella stagione del pentapartito, i cui partecipanti prendevano la maggioranza assoluta dei voti per poi lasciare il campo all’andazzo successivo, dal 1994 in poi: quando si volle che fosse il popolo elettore a stabilire chi dovesse governare, così ritrovandosi al governo quanti non presero mai la maggioranza assoluta dei voti. Stravaganze della politica e frutto degli stravaganti che vivono in un mondo loro.
Al tempo vi furono puristi che obiettarono circa la legittimità di quei gabinetti con caminetti. Bruno Visentini sostenne che procedendo a quel modo erano i partiti della maggioranza a indirizzare il governo, così ribaltando il dettato costituzionale. L’anagrafe gli ha risparmiato lo stupore di sentir dire che il vertice di ieri possa essere servito anche a evitare che siano presentati emendamenti in Parlamento, giacché questo allarga l’usurpazione del potere esecutivo a danno di quello legislativo. Ma noi non ci facciamo più caso. Nel Paese in cui si pensa di mettere nei marchi delle liste i candidati alla carica cui non sono eleggibili e si chiama premier l’inquilino dell’orleanista Palazzo Chigi, adombrarsi per il gabinetto è preziosità che ne trascura i servizi.
La legge di bilancio, dicono i gabinettisti, è sempre quella, perché i saldi sono invariati. Altro sempreverde, i “saldi invariati”. Pur importanti, ma occorre abbiano un nesso non soltanto contabile con la realtà. Prendiamo la cedolare secca e la tassazione degli affitti brevi.
La questione è che servono soldi e qualcosa si deve pur tassare, ma si era detto che non si sarebbero messe nuove tasse e meno che mai sulle case. Però ci sarebbe da ragionare su cause e conseguenze, senza pensare solo ai saldi. Se tanti immobili possono essere oggetto di offerta per gli affitti brevi è dimostrazione ulteriore che le famiglie italiane sono immobiliarmente molto patrimonializzate. Con questa leva demografica i più giovani diventeranno piccole potenze immobiliari. Sicuri che il tema della tassazione sia soltanto relativo agli affitti? Lasciamo perdere la maggiore tassazione per chi rivende un appartamento il cui valore è cresciuto grazie al 110% (perché quando si fa una porcheria poi germogliano le porcheriole), restiamo agli affitti brevi: l’appartamento è mio, ne faccio quel che credo e lo affitto a chi mi pare. Giusto? Fino a un certo punto, perché ne risentono tutti gli altri condomini (e la città): giacché una cosa è vivere fra residenti, altra fra turisti. Pare non interessare il gabinetto.
Nella legge sulla concorrenza hanno risolto il problema rinviando. La nuova dottrina: non fare oggi quel che potrai ignorare anche domani. I dehors, francesismo per “esterni”, vanno in proroga fino alla fine del 2024. Prima esisteva l’occupazione del suolo pubblico, con relativi permessi e tassa. Poi venne il Covid e, giustamente, l’attovagliamento ovunque possibile. La pandemia è passata, ma rimasero tavolini sui marciapiedi e per strada. Quel che si può sia consentito, quel che intralcia sia rimosso. Se si proroga, fra un anno (come già accade) quel che era all’aperto sarà dedans: chiuso con vetrate, coperto con tegole, rinfrescato d’estate e riscaldato d’inverno. Non li smonterà più nessuno e diventeranno i balneari del 2025. Ma dal gabinetto un tempo vicinissimo, eppur così lontano, non lo si vede manco con il binocolo.
Davide Giacalone, La Ragione 31 ottobre 2023