Politica

Gheddafi docet

Occorre distinguere il folclore dalla sostanza e, presa in esame la seconda, saper distinguere le cose bislacche da quelle serie. Dopo di che si può pensare quello che si vuole, di Muammar Gheddafi e delle sue colorite visite romane, ma cercando di non mischiare le polemiche inutili, ignare della coerenza e della realtà, con il ragionare sui problemi e gli interessi del nostro Paese. Qualche volta, leggendo i quotidiani, si ha l’impressione che noi si viva solo di dispetti e ripicche, con il gusto di sbertucciarsi all’infinito. E non è una bella cosa.

Non mi scandalizza affatto che un musulmano auspichi la diffusione dell’islam. Né mi preoccupa, se la platea, per essere comprensiva, è anche composta da gente pagata per esserci. Trovo esagerati certi allarmi. Mi ha colpito, ad esempio, il Corriere della Sera, che in prima pagina strillava la possibilità che l’Europa potesse divenire islamica, mentre la pagina quattro era interamente dedicata ad una conturbante fanciulla, destinata a promuovere la vendita di mutande mediante l’evocazione di quel che avvolgono. Siamo salvi. Mi paiono anche mal concepiti certi appelli alla “reciprocità”, che hanno la pretesa d’essere razionali, come se abbia senso dire: si sarà liberi nel mio Paese, anche di professare una fede, solo quando lo si sarà anche nel tuo. Invece è vero il contrario: noi siamo liberi, anche se altri non lo sono, e questo è l’unico elemento che testimonia la superiorità della nostra civiltà.

I cattolici che hanno reagito disturbati, dalle parole di proselitismo islamico, forse farebbero bene a ragionare: Gheddafi è stato uno dei protagonisti del terrorismo internazionale, tanto che gli statunitensi, giustamente, provarono a farlo fuori (e fummo noi italiani a salvarlo, senza che si ricordino proteste d’oltre Tevere), ma dal 2003 è divenuto, certo per sua convenienza, un avversario del fondamentalismo. La sua platea d’italiche prezzolate sfoggiava il crine al vento. Nelle stesse ore una donna iraniana rischia la lapidazione, tutte le altre vivono in segregazione. Se la moglie del presidente francese protesta le danno della prostituta e alcune sensibili coscienze vengono a dire che il problema è Gheddafi? Cerchiamo di non smarrire il senso della misura.

Certo, mi sarebbe piaciuto (come diceva mia nonna) essere una mosca e assistere al momento in cui l’attendato ha spiegato a Silvio Berlusconi che occorre avere rispetto delle donne, in quanto tali, quindi intese come “femmine”. Un incontro fra titani, della materia. Ma questo, appunto, è folclore.

Non lo è il fatto che gli inglesi abbiano deciso di restituire ai libici un terrorista responsabile dell’abbattimento di un volo civile, a Lockerbie (270 morti), che Gheddafi lo abbia ricevuto trionfalmente in patria e che, guarda caso, subito dopo British Petroleum ha firmato un accordo con la Libia. Gli inglesi non avevano torto: la guerra è finita, Gheddafi ha cambiato fronte, meglio restituirgli lo stragista e fare affari. Non è il massimo della giustizia, ma non solo anche i tribunali si riscaldano bruciando petrolio, c’è anche da considerare che il nuovo Gheddafi aiutò a colpire il traffico clandestino di armi nucleari e disarmò quelle chimiche. Tutte cose che potevano creare vittime assai più che a Lockerbie. Esiste la giustizia, ma anche la sicurezza. Pensare che noi italiani si debba essere più antigheddafiani degli inglesi (noi, che aiutammo il colonnello a fare il colpo di stato contro re Idris, che stava dalla parte di sua maestà britannica) non ha senso.

Il trattato d’amicizia, firmato due anni fa, prevede un risarcimento italiano (5 miliardi) per i danni del colonialismo, ma anche la partecipazione delle imprese italiane alla realizzazione di opere in Libia. Se non lo avessimo fatto noi lo avrebbero fatto altri, ed è, oggi, cento volte meglio far affari con i libici che con gli iraniani (cui Romano Prodi e massimo D’Alema riconobbero, improvvidamente, il diritto ad essere potenza regionale). Bene così, allora.

Le minacce vere Gheddafi ce le ha fatte sull’immigrazione. Datemi un bel po’ di soldi, voi italiani ed europei in generale, oppure la smetto di fermare i barconi e le vostre terre diventeranno africane. Scenario apocalittico, che ci mette di fronte a due responsabilità. La prima consiste nel fatto che deleghiamo il lavoro sporco ai meno presentabili, ma pur sempre nel nostro interesse. Gli sbarchi, in Italia, sono diminuiti perché funziona l’accordo con i libici e, finché dura, disincentiva il lavoro dei negrieri, tali essendo gli organizzatori della clandestinità. La seconda riguarda le organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Onu, che passano il tempo, da lussuosi uffici e con ben remunerati funzionari, a far la morale ai ricchi che non accolgono tutti, ma si guardano bene dal contrastare i criminali che sfruttano la tratta dei disperati.

Gheddafi, in fondo, ci ha ricordato che il problema supera le nostre forze e dovrebbe indurci a farne oggetto di politica estera, non solo bilaterale. Come ci ha fatto presente che c’è una lieve contraddizione fra l’opporsi alla predicazione islamista, proposta da un non fondamentalista, e il fare entrare di tutto, comprese formazioni di religiosità fanatica.

I conti, dunque, non dobbiamo farli (solo) con l’uomo che si porta dietro le amazzoni e arruola le hostess, ma con noi stessi. Chiarendoci che tollerare l’illegalità in nome dell’umanità è un pericolosissimo errore. Se su questo punto la pubblicistica cattolica s’esercitasse maggioramente, non farebbe un soldo di danno.

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