Politica

Gigante rossa

Il Quirinale rischia di diventare una gigante rossa. Non si tratta di colore politico, ma dello stadio evolutivo avanzato delle stelle: prima di spegnersi s’espandono e guadagnano luminescenza. Ho letto commenti pressoché unanimi: con la rielezione di Giorgio Napolitano il Colle diventa imperiale, non solo lui rientra nella pienezza dei poteri, ma con un peso politico destinato a farli crescere. Credo sia un’illusione ottica.

Oggi Napolitano è assai più potente nel promuovere la formazione del governo, ma solo perché è stato rimosso l’ostacolo inventato da Pier Luigi Bersani. Il muro che ha eretto e contro il quale si è schiantato. Cadendo la pretesa che il mandato fosse assegnato solo e soltanto a lui medesimo, e svanita l’illusione di fare una maggioranza con gli ortotteri (sempre stata tale, mai somigliata a una possibilità, e comunque un’ipotetica disgrazia), siamo tornati dove eravamo il 26 di febbraio. La differenza non sta nel fatto che ora Napolitano ha riacquisito il potere di sciogliere anticipatamente, vale a dire nella culla, la legislatura, ma nella riacquisizione piena dei poteri dati dall’articolo 92 della Costituzione, che gli assegna in esclusiva la nomina del presidente del Consiglio e fissa nel giuramento la data di nascita del governo. Poteri conculcati dalla rigidità bersaniana, quando, non a caso, Napolitano faceva riferimento all’articolo 94, che disciplina non la nascita del governo, ma la fiducia parlamentare.

Procedendo in questo modo avremo subito il governo. Sarà un governo del presidente, quale che sia la formula politica. E sarà sostenuto da Pd e Pdl, anche se non dovrà pronunciarsi l’abracadabra delle “larghe intese”. Tutto questo alloca al Quirinale il baricentro esclusivo del nostro tempo istituzionale? Segna la sua crescita imperiale? Non credo sia così. I governi del presidente non sono una novità dei nostri giorni. S’usavano anche quando il Quirinale era una nana bianca (stella giovane, ma è singolare come i due colori astrali coincidano anche con quelli politici). Il fatto è che se il governo e la legislatura s’imbarcano nella pappardella dei dieci saggi, parte un treno su cui tanti salgono, in cui nessuno si riconosce, destinato a far troppe tappe, scombinate per giunta, avendo un tempo di percorrenza ignoto e una destinazione incerta. Durante questo viaggio il presidente-imperatore può anche appisolarsi, perché il suo potere percepito cresce, come il volume e l’abbaglio della gigante rossa, ma quello reale no. Anzi, scende.

Ciò dipende dal fatto che l’arma dello scioglimento anticipato è spuntata. Usarla in queste condizioni, sebbene indispensabile, ove qualcuno (il Pd) renda impossibile la fiducia al governo presidenziale, espone a grandi rischi e non garantisce il risultato. Come se si attendesse il cambiamento degli elettori, anziché degli eletti. Sicché credo che governo e Parlamento dovrebbero, nel mentre l’esecutivo mette in sicurezza i conti e torna a balbettare qualche cosa nell’Unione europea, porre immediatamente mano al sistema elettorale (come si sarebbe dovuto fare nel novembre del 2011!). Non è che sia la priorità degli italiani, che credo, invece, se ne freghino, ma è la precondizione per evitare di cullarsi in un inutile ed esasperante tran-tran. Solo con quella riforma il Colle torna ad avere veramente l’arma dello scioglimento, e solo con quella rivotare significherebbe provare a darsi un Parlamento e un governo diversi.

Posto che per i sistemi proporzionali si dovrebbero avere i partiti politici, che abbiamo provveduto a distruggere e che si sono distrutti con le loro mani, quelli utilizzabili sono due: maggioritario di collegio secco (all’inglese) o maggioritario di collegio a doppio turno (alla francese). Per carità, non convochiamo saggi e commissioni. Mettiamone al tavolo uno per partito, della futura maggioranza. Se non trovano l’accordo giochiamocela a testa o croce.

Pubblicato da Libero

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