Politica

Giostra referendaria

I piccini si divertono sulla giostra, girando in tondo senza andare da nessuna parte, nel mentre i genitori si fanno due zebedei a mongolfiera e, ogni tanto, salutano per non abioccarsi. Il mondo politico gira sulla giostra dei sistemi elettorali, e un referendum contro il maggioritario ci riporterebbe laddove ci colsero i referendum contro il proporzionale. I piccini crescono, e ci liberano. Questa classe politica no, talché non sarebbe male liberarsene.

Stefano Passigli, con la solita truppa di professori indignati al seguito (oh, sono sempre gli stessi!), chiede di cancellare il sistema elettorale attuale, detto “porcellum”, con un’operazione abrogativa che ci porterebbe ad un proporzionale ancora più accentuato di quello un tempo in vigore. Faticherà a raccogliere le firme, perché gli apparati di partito, a cominciare dal Pd, non gli daranno una mano. Ma sono convinto che se un referendum simile si fosse votato oggi, caricandolo di un significato antipartitico, sarebbe passato alla grande. Del resto, furono i referendum Segni ad aprire l’era plebiscitaria: 95,6% per l’abrogazione della preferenza unica, nel 1991, e 82,7 contro la quota proporzionale nel sistema elettorale per il Senato, 1993. Benché quello Passigli sia di segno opposto sarebbe portato in trionfo dagli stessi elettori, che, del resto, latrano contro i partiti e riconsegnano loro la gestione dell’acqua e i relativi posti di potere da spartirsi. La coerenza, come si vede, non è il punto forte del momento.

L’odierno comitato referendario ha ragione su un punto: il sistema elettorale attuale ha fallito. Il colpo di grazia non glielo hanno dato loro, lo ha impartito Silvio Berlusconi, nel momento in cui ha messo insieme una maggioranza governativa che non coincide con quella che prese il premio di maggioranza e che, anzi, prescinde da quello. Fine, non c’è altro da aggiungere. Eppure questo sistema ha i suoi estimatori, che siedono nelle segreterie di tutti i partiti, giacché consente al gruppo dirigente di scegliere il gruppo parlamentare. Salvo il fatto che il sistema non regge, e chi si ostina a non capirlo farebbe bene, prima e dopo i pasti, a ricordare quel che è successo a Napoli.

Mario Segni accusa i suoi successori di volere riportare l’Italia alla prima Repubblica. Passigli gli risponde che non è vero, perché non ci sarebbe più l’esclusione pregiudiziale dei comunisti. Con rispetto: due spropositi. La prima Repubblica non tornerà mai perché ne sono morti i protagonisti, ovvero i partiti con radici risorgimentali. Se tornassimo all’ecosistema del cretaceo non per questo rivivrebbero i dinosauri. Di sicuro moriremmo noi. Ma la convention ad escludendum c’era, ed era giustissimo che ci fosse, perché i comunisti (esistono ancora? è solo un tic berlusconiano o Passigli ne ha notizie, visto che fu eletto anche da loro, prima di passare ai dipietristi?) erano nemici della Nato e dell’Europa, ovvero dei due contenitori che definivano la nostra identità democratica e occidentale, in anni di guerra fredda. Ora le cose sono cambiate, possiamo tranquillamente rovinarci con le nostre mani, eleggendoci come diavolo ci pare. Non siamo più liberi, contiamo meno.

Nel mentre i referendari vanno sui cavallucci inchiodati, sparandosi fra di loro con pistole giocattolo, qui sulle panchine della noia ci pare chiaro che i sistemi elettorali non sono un bel nulla, se non lavorano al servizio e in armonia con i sistemi istituzionali. Noi abbiamo bisogno di cambiare la Costituzione, di rendere forte il governo e rappresentativo il Parlamento, di non perdere altri venti anni. Si può fare sia con il maggioritario che con il proporzionale, ma non lo si può fare senza cambiare una Costituzione che tutti hanno già cambiato, ma a spizzichi e bocconi inutili. Un altro giro non lo pago, il gettone non lo compro. A casa.

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