Politica

Gli ebrei italiani

In un elegante pezzo di resoconto Fioravanti si è chiesto, su queste pagine, come mai gli ebrei romani mostrassero così tanta condiscendenza nei confronti della sinistra nostrana, alla quale, pure, non hanno poi molto da essere grati.

Forse, riflette Fioravanti, prevale la romanità, quindi l’italianità. Il quesito è ben posto, la risposta merita meno fretta.

C’è da dire che la comunità ebraica, in quanto tale, è un’insieme che non ha specifici orientamenti politici e, pertanto, non è che debba essere collocata a destra o sinistra, ma questa, me ne rendo ben conto, è una premessa un po’ fessa. Meno banale è ricordare che l’Italia è uno dei due paesi europei che varò severe leggi antirazziali, specificamente destinate a colpire gli ebrei: domandarsi il perché della loro naturale diffidenza verso quella destra che ancor poche settimane fa non esprimeva chiare condanne nei confronti del fascismo e delle leggi fasciste mi sembra superfluo.

Nei governi di coalizione, che hanno retto l’Italia democratica per cinquanta anni, tanto Israele quanto la comunità ebraica italiana, hanno potuto riconoscere degli amici, ciò non di meno hanno potuto riconoscere anche delle insidie. Basterà rileggere, ad esempio, le lettere di Aldo Moro, nel mentre si trovava prigioniero delle Brigate Rosse, per avere un veloce affresco dei diversi canali sotterranei che collegarono la politica italiana agli ambienti palestinesi. Ed il fatto che la principale forza di governo, la dc, fosse d’ispirazione cattolica e che tenesse, quindi, al fondo, un pregiudizio antiebreo, non è certo di quelli da non aver peso.

Questo sposta “naturalmente” gli ebrei sulla sinistra? Neanche per idea. Intanto la persecuzione e lo sterminio non furono una prerogativa dei due dittatori nazifascisti, ma, in quel campo, si distinse e si fece disonore anche il comunismo sovietico. Olocausto meno celebrato, nei confronti del quale i doveri della memoria si attivano in modo intermittente, ma che rimane un’incancellabile ed innegabile pagina della storia. Così come rimane innegabile il silenzio dei comunisti italiani. La storiografia, oggi, a proposito della persecuzione contro gli ebrei, molto si affanna, e giustamente, attorno alla figura di Pio XII, pontefice che non seppe trovare le parole per difendere un popolo avviato allo sterminio; i pontefici comunisti, da Togliatti, a Longo, a Berlinguer non furono da meno, ed ancora oggi, per la verità, di parole pesanti su quell’antisemitismo non se ne sentono.

Non solo, come ricordava l’articolo di Fioravanti, alle manifestazioni della sinistra, ancora oggi, non mancano le sciarpe di foggia palestinese, a segnalare una solidarietà degenerata in moda (come tutte le divise guerrigliere, come tutte le mode avventuriere, che richiamano tragedie e mettono in scena la cretineria). Questa sinistra, però, ha saputo imparare il linguaggio del politicamente corretto, ha indossato kefiha e kippar, e questo segnale, il cielo sa quanto contraddittorio, è stato pur sempre un segnale di dialogo e di speranza, che gli ebrei italiani hanno raccolto e che ancora coltivano. Se basta così poco per ottenere così tanto, vorrà dire che da altre parti è giunto ancora meno. Questo è il punto politico da tenere presente.

Del resto, il governo italiano è corso a ripetere quel che il Presidente statunitense aveva affermato nel lanciare la guerra contro il terrorismo: si crei lo stato palestinese. Lo ha ripetuto con l’aria di chi dice una cosa giusta ed ovvia, del tipo “si dia da mangiare ai bambini”. Purtroppo, nel nostro caso come in quello americano, è sembrato che ci si rivolgesse, con tono accigliato, ai “falchi” che governano Israele. A rispondere, invece, sono stati i terroristi che apprezzano Arafat e l’ANP quando servono a far la guerra, ma li sbugiardano quando s’incamminano verso la pace. Risultato di quelle dichiarazioni: Arafat è più debole, il terrorismo fuori controllo e Sharon più popolare. Nel valutare l’umore degli ebrei della diaspora sarà bene non dimenticare queste cose.

Infine, ma chi sono i veri amici di Israele? Credo che vi siano diversi motivi per i quali ci si possa sentire amici dello Stato ebraico, ma penso che una sola sia la matrice sicura: gli amici d’Israele sono gli amici della democrazia, senza aggettivi. La stella di David è il simbolo dell’unica democrazia capace di vivere in quelle condizioni. Va difesa sempre, in epoca di fondamentalismi con ancor più impegno.

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