Politica

Goccia d’ambra

Il partito laburista inglese non gode di buona salute, e non è una bella cosa scegliersi il leader fra due fratelli. Il sistema inglese sta già meglio, perché fa valere la regola che chi perde lascia il posto. Inoltre Ed Miliband (il prescelto) è nato nel 1969 e il fratello  David nel 1965. Da noi sarebbero considerati degli sbarbatelli, dato che la nostra classe politica sembra una mosca cascata dentro una goccia d’ambra: destinata a conservarsi per l’eternità. Ma morta. Non se ne va mai nessuno, anche dopo conclamate sconfitte. Quelli che annunciano ritiri di qualche mese si sentono degli eroi, pronti a tornare sulla scena per incassare il risultato della loro stoica, ma temporanea, astinenza. Essendo sempre le stesse persone parlano sempre delle stesse cose, con l’unica variante che, ogni tanto, si scambiano le posizioni. Anche perché, con l’età, fanno fatica a ricordare quel che sostennero. Tale costume è, al tempo stesso, causa e riflesso di un Paese bloccato.

Quanti s’appassionano alle chiacchiere sui sistemi elettorali, nell’errato presupposto che siano formule magiche, in grado di cambiare la realtà, rammentino un dato: i laburisti inglesi persero le elezioni, nel 1992, raccogliendo il 34,4% dei voti, e le vinsero, nel 2005, prendendone il 35,3. Un solo punto di differenza che, però, valeva ben 85 seggi parlamentari. Potenza dell’uninominale maggioritario (vero). Nel 1992 il partito era guidato da Neil Kinnock, che non sostenne di essere andato vicino alla vittoria, ma ammise la sconfitta e si dimise. Il successore, Tony Blair, non è mai stato sconfitto nelle urne, ma fatto fuori dal partito e sostituito con Gordon Brown. Oggi, all’età di 57 anni, pubblica le sue momorie. Brown, dal canto suo, di anni ne ha 59 e alle ultime elezioni non è stato poi molto sconfitto, visto che i conservatori non hanno preso la maggioranza degli eletti ed hanno dovuto fare una coalizione con i liberaldemocratici. Da noi Brown non solo sarebbe sempre sulla scena, ma cercherebbe di convincere Nick Clegg (43 anni) a mollare i conservatori di David Cameron (44 anni) per fare un’alleanza con la sinistra. Nel partito della sinistra, del resto, il duello fra Blair e Brown non si svolgerebbe nelle memorie, ma nella vita politica attiva, come fra Massimo D’Alema e Walter Veltroni, come nella formula del sacramento matrimoniale: finché morte non li separi.

D’esempi simili se ne possono citare molti, perché, in generale, nelle democrazie moderne la politica non è una professione. Anche senza scadere nella retorica giulebbosa, anche senza tirar fuori la missione per il bene dell’umanità, la politica è una nobilissima attività, che può essere esercitata liberamente alla condizione che si abbia una professione dalla quale si arriva ed alla quale si può tornare. Il politico che campa di politica è, prima ancora che un individuo sospetto, un soggetto non libero. E farsi rappresentare da gente non libera non è il massimo della libidine. Ecco, da noi sono tutti così. Difatti non se ne vanno mai.

L’attuale capo del governo fa eccezione, perché è ricco di suo e da prima. Ma sarebbe un grave errore credere che per far politica, e per farla liberamente, si debba essere ricchi. Sarebbe come sopprimere la democrazia. Il punto decisivo non è, allora, il patrimonio di chi si dedica alle faccende collettive, ma la sua capacità, culturale ed economica, di avere anche altro da fare. Da qui deriva un corollario: in politica si entra, ma anche si esce.

Blair, per restare ad un esempio citato, era un giovane avvocato che però, al contrario della moglie, non aveva proprio la vocazione per quella professione. Voleva far politica. E l’ha fatta. Quando è arrivato il momento d’uscire (aveva 54 anni) non solo ha imboccato la porta senza guardarsi indietro, ma s’è preso la libertà di cominciare a far quattrini grazie a consulenze private e conferenze. Ora è ricco. Non è possibile, invece, citare un solo esempio simile in casa nostra. Anzi, l’età in cui tutti costoro sono stati messi alla porta è considerata, da noi, quella appena sufficiente per star dietro la porta, a far la fila per entrare.

Risultato: un sistema vecchio, con scarsissimo ricambio, dove la cooptazione seleziona i più ovini, poi, naturalmente, incapaci di sopravvivere lavorando. Con il che, sia chiaro, non sostengo affatto che debba negarsi la professionalità politica, perché ci vogliono competenze specifiche, preparazione culturale e attitudine mentale, per occuparsi degli interessi di tutti, e so bene che in tutte le democrazie ci sono parlamentari di lungo corso, dotati di profonda conoscenza dei meccanismi legislativi, sostengo il contrario: da noi c’è scarsa professionalità, frammista a dipendenza economica dalla politica. La miscela peggiore.

Fra il 1992 e il 1994 una grossa fetta della classe politica fu fatta fuori, in modo illegittimo. Quello che accadde dopo non fu un fisiologico ricambio, ma l’avvento in prima fila di quelli che stavano nelle retrovie. Il manipulitismo, insomma, fu una doppia patologia: assenza di ricambio e soppressione violenta degli eletti. Dopo di che il tempo s’è fermato e la goccia d’ambra ci appiccica tutti in un bozzolo di stantia eternità, nella quale, non a caso, ci s’interroga su come far tornare il passato, anziché su come liberare il futuro.

Potremmo consolarci supponendo che, con il tempo, tanti protagonisti diventino saggi. Ma mentiremmo a noi stessi. Guardate la questione giustizia: sappiamo tutti, con precisione, ciò che si dovrebbe e potrebbe fare, ma perdiamo i lustri a far sfogare le liti fra gente che spera solo di fregare il proprio attempato avversario. Finché morte non li separi. O finché non raggiunga noi, se non altro per noiosissimo sfinimento.

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