Politica

Governo da marciapiede

Sul concedere il diritto di voto agli immigrati si può essere d’accordo o contro (io sono favorevole, sebbene in un quadro di cittadinanza riconosciuta), quel che non si può fare è continuare a sovvertire le regole della politica. La politica, prima o dopo, si vendica.

Gianfranco Fini non ha fatto una proposta, ha solo rilasciato una dichiarazione. E’ la seconda volta, negli ultimi giorni, che gli capita, avendo già fatto la stessa cosa a proposito della droga. Tutte e due queste sue dichiarazioni, in fondo, mi piacciono, ne approfitto, quindi, per dire che così però, non si governa.
Un parlamentare non dice che si dovrebbe riformare questa o quella legge, non parla al vento, presenta delle proposte, ne chiede la discussione e la votazione, si batte affinché le sue idee siano travasate nella legislazione. È per questo che è stato eletto. Un governante, poi, non s’intrattiene al bar su quel che si dovrebbe fare, lo fa. Se glielo lasciano fare sarà giudicato sulla base dei risultati; se non glielo lasciano fare se ne va e chiede agli elettori di punire chi lo ha bloccato. Se, invece, tutti giuocano a fare “l’uomo della strada”, va a finire che ci troviamo una politica ed un governo da strada.
Fini si dichiara soddisfatto dell’avere “aperto un dibattito”. Scusi la domanda: e chi lo deve chiudere?
A Fini, in occasione della dichiarazione sugli immigrati è stato autorevolmente risposto che la questione non è compresa nel programma di governo. E che significa? L’obiezione sarebbe rilevante se nel programma di governo ci fosse scritto il contrario, ma se, com’è, non c’è scritto niente è evidente che non può intendersi quel testo come unica guida e faro. Mi ricorda il dramma di quelli che non sanno cucinare e si affidano ai libri delle ricette: s’attacca tutto al fondo della pentola, ma la ricetta non dice nulla a proposito di quest’inconveniente.
Fini, poi, non è un ministro, ma il vice presidente del Consiglio, vale a dire il vice di quella carica che deve dare l’indirizzo all’azione di governo, è, pertanto, del tutto ragionevole che guardi anche oltre il programma scritto. E’ la Costituzione ad assegnare questo compito al presidente del Consiglio. Certo, lui è solo il vice, ma, allora, si pone il problema della condivisione o meno, da parte del titolare, delle cose dette. Con tutte le conseguenze del caso.
Una cosa, comunque, è certa: così facendo questi governanti somigliano sempre di più ai deraglianti magistrati del celeberrimo, e mai sufficientemente celebrato, pool di Milano: in certe ore del giorno fedeli servitori dello Stato, in certe altre liberi opinionisti che ne reclamano il sovvertimento. Con i primi fummo piuttosto severi, e, noi, dico noi, non abbiamo cambiato idea.

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