Politica

Grande coabitazione

E’ un paradosso che fa venire rabbia: per agguantare le cose necessarie, per mettere nelle vele il vento della ripresa, per varare le riforme profonde che da lustri non si fanno, occorrerebbe un accordo di larga coalizione, in modo da distribuire equamente i meriti e le impopolarità e dare vita a un governo finalmente in grado di fare, proprio perché libero da un’opposizione paralizzante; ma tale coalizione è esattamente quella che c’è, salvo che ha dato corpo a un governo che è l’opposto di quel che serve: è inerte e guarda il cielo, prevedendo caldo per l’estate e freddo per Natale. La grande coalizione realizzata non comporta la sospensione delle ostilità, ma il semplice posporre il ritorno alle urne, perpetrando una rissa insulsa e improduttiva. Il paradosso è che abbiamo quel che teoricamente servirebbe, ma non ci serve a nulla. Crede di reggersi perché privo di alternative, ma è già accasciato perché privo di vita.

Nel paradosso c’è tutto il dramma della nostra vita politica, incapace di schiodarsi dal proprio blocco, incapace di trovare la forza per porre fine a un andazzo che inevitabilmente produce solo rifiuto. Possiamo anche prenderci in giro e far finta che tutto discende dalla condanna penale di Silvio Berlusconi, ma è una bugia pietosa. Non solo era così anche prima, ma il peso pubblico di quella condanna nasce dal peso elettorale e politico di un uomo le cui pendenze penali non erano certo sconosciute, sicché si deve andare all’origine di quel peso. Senza l’arroganza antidemocratica di chi suppone che quegli elettori siano la quintessenza dell’immoralità o dell’ipnosi. E a quella fonte si ritrova una sinistra che pensò di prendere il potere dopo l’eliminazione fisica degli avversari politici e senza minimamente rinnegare il proprio passato comunista. Ciò generò una forza prima inesistente, trovando sbocco a un elettorato che esisteva da prima, esistette durante ed è ancora lì: esistente. E’ un eterno gioco dell’oca, nel quale si torna sempre alla prima casella. Ci sono alternative? Ma certo. Ben prima della sentenza di cassazione qui sostenevamo l’opportunità di nominare Berlusconi senatore a vita. Le motivazioni che portavamo, con il senno di poi, erano solidissime: si sarebbe salvato il ruolo politico e si sarebbe disinnescato il detonatore istituzionale del verdetto. Quale che fosse. Non se ne ebbe il coraggio e oggi se ne pagano le conseguenze. I furbi altolocati puntarono su una sentenza diversa, capace di dare tempo ma di mantenere attiva l’arma giudiziaria. Tali furbi si ritrovano oggi a dipendere da una sentenza stilata da un collegio il cui presidente ha dimostrato (con incredibile generosità) la piccineria culturale ed etica cui si può giungere.

Eppure ancora una via c’è: va riprogrammata la natura della coalizione e riscritto il programma, mettendo in opera dimissioni di patrimonio e abbattimento del debito pubblico, da compensare con minore pressione fiscale; va fatto un calendario di liberalizzazioni, stabilendo fin da subito che a quello si lega indissolubilmente la vita del governo; va riprofilato il ruolo dello Stato e stroncato il satanismo burocratico; va subito varata la riforma della giustizia (la cosa non riguarda minimamente il cittadino Berlusconi, e chi dice il contrario è tonto o imbroglione). Su ciascuno di questi temi la distanza sostanziale è minima, mentre quella propagandistica immensa.

Se la grande coalizione coglierà la prima cosa, mettendo a frutto la ragionevolezza e la consapevolezza che una politica ulteriormente sconfitta la porta a scomparire nella vergogna, allora si troverà il modo di governare anche le pagine dolorose, puntando a un riscatto che nasca dai fatti. Ma se, come oggi tutto, ma proprio tutto lascia intendere, ci si adagia sulla distanza propagandistica, per la paura di non avere altra identità se non quella strutturatasi nel nulla avvelenato di questi anni, allora la stabilità non è un valore, ma un’illusione. Triste, insensata, destinata a incubare il peggio. La rabbia viene dal vedere come ciascuno non sappia fare altro che lasciarsi condurre dalla corrente dei propri errori. Ciascuno credendosi astutamente machiavellico e facendo, invece, la figura del totale idiota.

Pubblicato da Libero

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