Politica

Grandi nani e piccoli giganti

L’Italia è il Paese più esposto nei confronti dell’Iran, il primo partner commerciale. Abbiamo avuto governi (da ultimo Prodi) che erano disposti a riconoscere il diritto di Ahmadinejad a reclamare un ruolo dominante su tutta la regione, conquistato a forza di predicare la cancellazione d’Israele e rincorrendo

l’arma atomica. Abbiamo un intero mondo politico che neanche sa occuparsi di quel che avviene fuori dal cortile dove le comari s’accapigliano. Abbiamo un mondo industriale, qui come altrove, pronto a far affari senza troppo badare a quel che capita. In queste condizioni c’è un presidente del Consiglio che parla esplicitamente di nuove sanzioni all’Iran, cercando di porre rimedio alla figura meschina del G8 triestino, quando si riunirono i ministri degli esteri, e cercando di trascinare i riottosi Stati Uniti di Obama a far quello che nella storia è il loro mestiere, ma di tutto questo si trovano notizie solo in cronaca, perché i giornali sono troppo occupati a divinare cosa caspita succede a Bari. Cribbio, provino, almeno, un filino d’imbarazzo.
Le parole di Berlusconi, che qui abbiamo chiesto e che apprezzo, sono, però, un impegno. Sono pesanti, provocano effetti a Teheran, non potranno essere rimangiate. Cerchiamo di leggere la realtà: era un errore, e lo scrivemmo, considerare Ahmadinejad e Moussavi sostanzialmente uguali, perché entrambi graditi agli ayatollah. La spaccatura era avvenuta proprio al vertice, fra i barbuti fanatici ed ottusi, ma appassionati cultori del potere. Nelle urne si scontravano i due candidati, ma la guerra principale era fra Hashemi Rafasanjani, presidente dell’organismo che nomina la guida suprema, il successore di Komeini, e Ali Khamenei, attuale guida suprema. Rafasanjani ha perso, e si è dichiarato sconfitto. Da quel punto in poi la repressione non ha più ostacoli, tutto verrà messo a tacere nel cimitero teocratico.
E’ successo, però, l’imprevisto: una marea di giovani è esplosa, dopo aver bollito per anni in una pentola a pressione. Moussavi ha accompagnato la piazza, ma non la domina. Moltissimi di quei giovani non hanno via di scampo, perché fidarsi del regime, credere di potere tornare alla mortale normalità, è un azzardo eccessivo. Sanno di essere destinati alla macelleria, possono solo scegliere se affrontarla nel segreto dell’inciviltà interna o chiamando il mondo a testimone.
Ecco perché le parole del governo italiano sono pesanti, perché offrono una sponda ai contestatori. Tornare indietro sarebbe tradirli. La stampa internazionale, i tanti corrispondenti che affollano le terrazze romane e pettegole, gli scribi copisti che riproducono in idioma proprio l’orecchiamento questurino delle guide locali, provino a fare il loro dovere, raccontino la storia di un governo che ha badato a chi protesta, e non solo per aumentare i lettori paganti mediante la trasmissione dell’agonia, della libertà affogata nel proprio sangue. Aprano un fronte d’informazione seria, che non faccia del nome di una martire il logo del loro conformismo market oriented. Chiediamo, tutti, senza timore che questo suoni allineamento alle miserrime questioni di schieramento vernacolare, che a L’Aquila i grandi siano effettivamente tali, trovando il coraggio di porgere una mano ai piccoli giganti di Teheran.

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