La democrazia cristiana non rinasce, semmai si perpetua la radiazione fossile del suo doroteismo. Deideologizzato e praticato come equilibrismo (l’unico che i giovani a vita conobbero). Capace non di dare vita a un partito, ma di toglierne a quelli esistenti, occupandoli. Cose di cui è ragionevole supporre che non importi niente alla gran parte degli italiani, se non fosse che si tratta dell’involucro dentro cui si protegge la naturale tendenza al galleggiamento inerte. Questi, però, non si rendono conto che il pericolo non viene dalle correnti oceaniche, bensì dal calare velocissimo del livello dell’acqua. Vestono alamari d’ammiraglio, ma veleggiano in una vasca da bagno.
La Democrazia cristiana era pianta con radici diverse. Una giungeva all’idea di organizzare i cattolici in politica, ricollegandosi allo sturziano Partito popolare. Altre portavano al suo opposto, ovvero alla subordinazione della politica ai dettami delle gerarchie vaticane. Altre ancora erano il semplice posizionamento nel baricentro politico, coagulato dall’impossibilità che prendesse forma un’alternativa di sinistra. La Dc era consustanziale alla guerra fredda, che faceva da mastice nel tenere assieme anime altrimenti alternative. Esploso quel mondo i suoi reduci si trovarono (appunto) ovunque, ma in posizione subordinata rispetto alla spinta bipolarista imposta dal debutto berlusconiano. Il bipolarismo era l’antitesi del democristianismo. Il bipolarismo, però, si mostrò presto pregno di contrapposizioni formali e asciutto d’aspirazioni sostanziali. Durò a lungo, perché a dominarlo era il suo ideatore, fondatore e animatore: Silvio Berlusconi. Ma quella formula cominciò presto a esaurirsi, sicché sorse un fenomeno interessante: i democristiani lo scalarono e interpretarono a loro modo. Oggi si trovano alla guida della destra, della sinistra e del centro. Non ci sono riusciti con le liste ortottere, troppo velocemente lievitate per consentire un ruolo alle cicale. Perché mai dovrebbero rifare la Dc, visto che da democristiani già dominano le truppe in campo?
Politicismi per maniaci? Può darsi, ma ecco la traduzione pratica, che paghiamo tutti: mentre in Germania le larghe intese sono la formula delle riforme, da noi sono la ricetta dell’immobilismo. Facile da spiegare: mentre i teutonici le usano per far confluire forze politiche ed elettorati diversi, uniti dalla necessità, ma anche dall’opportunità di fare il necessario; in salsa italica servono per far defluire i paguri presenti nelle conchiglie altrui, oramai privi di partito e d’elettorato, ma riuniti dal desiderio di durare il più a lungo possibile. Si spiega così che i ministri delle varie componenti partirono come ambasciatori del proprio mondo e divennero in fretta apolidi nel nuovo. E si capisce così l’espressione stupefatta di Mario Monti, che paga in proprio il prezzo di un’illusione pericolosissima: pensare di far politica senza far politica, cioè senza incarnare idee e interessi che sono naturalmente e democraticamente di parte. Il super partes è un abbaglio losco, un parto dell’ipocrisia, e se poi non ti pieghi al sugherismo democristianeggiante scopri di non avere proprio nessuna parte, nella nuova commedia. Tanto m’innervosiva il Monti che si pensò capo politico, tanto m’intenerisce quello che scopre la coda senza esserne più a capo.
Se rifacessero la Dc dovrebbero, prima o dopo, contare i voti. Roba complicata. Gli italiani normali non campano da ricchi senza mai avere lavorato, come capita a quasi tutti questi signori, e non trovano divertente consegnare la gran parte del loro reddito allo Stato. A questi stessi italiani si racconta che le tasse diminuiscono, senza presentare neanche il testo di legge e con la stessa sicura dizione con cui altri affermarono essere figlia d’Egitto colei la quale dei faraoni fu capace di portare in dote solo le maledizioni. Cosa diminuisce? Dove? Che stanno dicendo? Hanno appena alzato di un punto l’Iva! E il cielo non voglia che per barcamenarsi pensino di usare le dismissioni, come già hanno fatto con la “manovrina”, al fine di coprire spese correnti. Sarebbe la formula certa del disastro. Non credeteli così ingenui da volere prendere il posto dei capi, da volere rifare il loro comune partito. Sono scaltri e sanno di avere già il comando. Dorotea perse la testa, i dorotei mai. Sanno che alle elezioni dovranno pur trovare il modo di riproporsi, ma il 2015 è oltre la linea dell’orizzonte. Hic sunt pirlones.
Pubblicato da Libero