Politica

I 44 (che erano 35)

I costituzionalisti chiamati a consulto, originariamente 35 e poi divenuti 44, sono stati spiritosamente accostati (ieri, su Il Tempo, da uno dei loro componenti, Beniamino Caravita) a una canzone di gran successo: “44 gatti”. Anche allora (1968) la situazione era nobile: i gatti erano “senza padrone” (buona cosa) e “organizzarono una riunione per precisare la situazione”, ergo si misero in fila per sei con il resto di due. Noi avremmo bisogno di qualche cosa di meno generico. Anche perché, per restare nell’area dello Zecchino d’Oro, non è improbabile che poi, terminato il lavoro, si oscilli fa “Il cuoco pasticcione” (2000) e “Il pistolero” (2005), magari per approdare a un risultato che riproponga l’antico quesito: “Il coccodrillo come fa?” (1993). Ecco: la riforma costituzionale come fa?

Abbandoniamo il mago Zurlì e veniamo alla concretezza dei problemi. Caravita c’informa sul taglio dato ai lavori: ciascuno espone il proprio punto di vista, gli altri ascoltano con rispetto (ci mancherebbe) e partecipano con passione alla discussione, creando un “linguaggio comune” (non bastarono gli studi?). A esito di tale dibattere, se tutto andrà bene, sarà sottoposto al legislatore un “ventaglio di soluzioni”. Detto in modo più terra terra: non è in quella sede che si faranno delle mediazioni, giacché le scelte toccano alla politica. Formalmente corretto, ma così non si arriva da nessuna parte. Non in tempi ragionevoli, almeno.

Posto che i mediamente istruiti già conoscono il teorico ventaglio, che di certo non sfugge a chi per mestiere lo insegna agli altri, l’impostazione dovrebbe essere diversa: sappiamo che il sistema parlamentocentrico, con un governo debole, ha dato risultati ragguardevoli per molti anni, ma da tempo non funziona più, sicché ciò che gli studiosi possono fare, per il legislatore, è descrivere se non proprio un solo modello d’uscita, almeno un paio. Non di più. Se posso brutalmente sintetizzare: semipresidenzialismo (alla francese) o cancellierato (alla tedesca). Sono pronto a essere bocciato, innanzi a tanti professori, ma loro badino a non uscire furi tema. Se, invece, si consegna il ventaglio si può star certi che gli altri se lo daranno vicendevolmente sulla testa, riscaldando l’ambiente piuttosto che raffreddarlo.

Qualche giorno addietro è successo un putiferio perché un parlamentare del centro destra ha supposto necessaria una cosa del tutto ovvia: se si cambia la forma-Stato si dovrà mettere mano anche all’ordinamento giudiziario. Siamo nel regno delle cose scontate, eppure è sembrato che stesse dicendo cosa oltraggiosa, o uno sproposito. Diranno i professori: noi non c’entriamo, la cosa non ci riguarda. Non è così, perché se stanno discutendo in punto di cattedra e con reciproco rispetto si saranno accorti che fra di loro siede un signore (Giuseppe Di Federico) che insegna all’università di Bologna. Sapete cosa? Ordinamenti giudiziari. Ora, è bene che si sia chiamato un tale esperto, data la già citata ovvietà, ma temo che, dopo l’animata discussione della settimana scorsa si senta un po’ come l’unico spermatozoo nero fra i tanti bianchi che si affollavano all’uscita, nel divertente film di Woody Allen. Credo spetti ai colleghi farlo sentire meno fuori posto, anche affermando il valore della logica e facendo pesare il valore della loro scienza.

Né i 44 possono astrarsi oltre un certo limite dalla realtà: hanno letto che il governo avvia un disegno di legge di riforma costituzionale per cancellare le provincie? Si sono accorti che lo hanno deciso indipendentemente dal loro lavoro? Non ne traggono la conclusione che i committenti non sono poi così fiduciosi, circa le sue conclusioni? Ove così non fosse il governo avrebbe potuto dire: professori, risolveteci anche questa grana con la Corte costituzionale e inserite anche le provincie nella proposta di revisione.

Quegli illustri professori sanno tutti bene che non esiste una sola riforma costituzionale, nel tempo e nello spazio, che non abbia un valore politico e non discenda da una scelta politica. Se sono stati chiamati a consulto è perché gli altri, i partiti, sanno di dover fare, ma non sanno fare. Il loro compito, se ci riescono, è consegnare una soluzione, non spiegare quanto è complesso e variegato il mondo. Quelli che “organizzarono una riunione per precisare la situazione” erano i 44 gatti. Partecipando essi ne guadagnano in prestigio. Se si limiteranno a presentare il ventaglio l’impressione sarà poco esaltante. Della serie: sotto la cattedra, niente.

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