Politica

I barconi in Ue

Ci siamo lasciati l’anno scorso, ad autunno inoltrato, quando a evitare l’afflusso dei barconi provvide il meteo. Era stata varata l’operazione di pattugliamento nel canale di Sicilia, si era discusso sui pro e i contro, ma non avvenne quel che taluni temevano, ovvero che il soccorso offerto dalla nostra marina militare avrebbe incentivato le partenze di quei disperati. Non avvenne, però, perché provvide il meteo. Il generale inverno non si presenta, qui, nelle forme che sconfissero le truppe napoleoniche in Russia, ma agita il mare quanto basta da suggerire di rinviare. E rieccoci. Siamo appena all’inizio della bella stagione e già leggiamo che i centri d’accoglienza sono in condizioni d’emergenza. Facile prevedere che presto saranno fuori gioco.

Il dibattito politico imbocca i corsi consueti: da una parte chi gioca a fare il buono, accalorandosi nel suonare l’inno del soccorso; dall’altra chi gioca a fare il cattivo, intonando la canzone secondo cui ogni debolezza è premessa di sopraffazione. Nulla di nuovo, salvo che, se guardate bene, scoprite che qualcuno ha cambiato posto ed è andato da agitarsi dall’altra parte. Cambia poco, perché quelle descritte sono due posizioni inutili. Forse credono d’essere propagandistiche, ma ho l’impressione che neanche più li si stia ad ascoltare.

Qui la faccenda è lineare: se mandiamo le navi militari (e chiamiamo le mercantili e i pescherecci) per andare a salvare i disperati, portandoli poi sulle nostre coste, possiamo star sicuri che prenderanno il largo sempre più numerosi e con imbarcazioni sempre più fatiscenti. Una volta l’obiettivo era avvivare a Lampedusa, ora basta superare le acque territoriali ed essere individuati dagli aerei. Il resto lo fanno i militari. Noi, a quel punto, non è che non siamo in grado di accoglierli tutti, che è del tutto fuori questione e solo gli incoscienti per vocazione possono sostenere il contrario, non siamo neanche in grado di gestirli. Ed è esattamente questo il punto in cui avrebbe senso un’azione europea, cui noi italiani, ovviamente, prenderemmo volentieri parte.

La questione non è solo quella di finanziare le spese di pattugliamento e quelle dei centri d’accoglienza. L’Unione europea stanzia dei fondi, ci accusano anche di spenderli male, ma così non risolveremo mai il problema. Che sono due: 1. distinguere fra le persone che arrivano, perché un rifugiato e un clandestino non sono assimilabili; 2. avviare a destinazione chi può e deve essere accolto, avviare al rimpatrio tutti gli altri. Non ci riusciamo, se li facciamo entrare in Italia. Non ci riusciamo perché finiamo nei vincoli e nei ritmi del diritto interno, che da noi sono i peggiori d’Europa. O lasciamo queste persone a languire per mesi, oppure, che è la soluzione più praticata, li lasciamo andare con la preghiera di non farsi riprendere. Così chi voleva lavorare va fuori d’Italia e chi voleva rubare resta a deliziarci. Un affarone.

In sede Ue non dobbiamo battere cassa, non dobbiamo chiedere quattrini per i centri, che saranno sempre pochi, dobbiamo proporre una soluzione stabile: si crei una zona extraterritoriale, in modo che soccorrere i naufraghi e i migranti non significhi portarseli a casa; in quella creiamo un’amministrazione Ue, destinata al censimento, riconoscimento e destinazione degli arrivati; i rimpatri dei clandestini non siano competenza dell’autorità giudiziaria nazionale (che è una complicazione in qualsiasi Paese e da noi un sicuro insuccesso), ma della giurisdizione Ue. Una buona occasione per far crescere sovranità europea virtuosa, smettendola di mandare le telecamere nei centri per mostrare al mondo quanto facciamo schifo nel mentre, all’opposto, la (nostra) popolazione locale si fa in quattro per aiutare questa gente.

Ecco, non dico che sarebbe un buon tema per la campagna elettorale europea, che tanto ho capito sarà fatta tutta in dialetto, ma è un’idea che il governo potrebbe far propria, dimostrando che sappiamo pensare e proporre soluzioni, non solo supplicare proroghe e autoflagellarci.

Pubblicato da Libero

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