Quello cui assistiamo non è un conflitto, ma un esaurimento istituzionale. Gli equivoci insanabili della così detta seconda Repubblica vengono tutti a galla, determinando, su ciascun problema, una coppia d’errori eguali e contrari. Segno che a saltare non è (solo) l’equilibrio nervoso dei protagonisti, ma quello
istituzionale. Prendiamo il caso del Quirinale, a suo modo emblematico.
Dopo la bocciatura del lodo Alfano le parole di Silvio Berlusconi sono state risentite e chiare: mi hanno imbrogliato. Si riferiva a Giorgio Napolitano. Subito s’è levata la contraerea, che a difesa del Presidente della Repubblica ne ha elogiato il formale ed assoluto rispetto della Costituzione. Bubbole. La verità è assai diversa: non solo Napolitano si è speso a favore del lodo, non solo impedì al Csm di parlarne, ma i passi fatti sulla Corte Costituzionale erano stati interpretati, vista la maggioranza di sinistra che la domina, come un’assicurazione. Solo che i giudici costituzionali hanno fatto marameo anche a Napolitano, complici gli errori commessi da Berlusconi (la non dimenticata cena con due componenti la Corte) ed una difesa più politica che costituzionale. In ogni caso inefficace, su ambo i fronti. Insomma, Berlusconi se l’è presa non con il proprio carnefice, ma con quello che era stato appena macellato dai comuni carnefici.
La presenza di Napolitano al Quirinale, del resto, è già di suo un errore, che minaccia la stabilità delle istituzioni. Noi lo scrivemmo subito, immediatamente accusati di lesa maestà o d’essere rimasti ancorati ad un lontano passato. Ma era chiaro che mandare uno che era “ex” comunista solo perché il comunismo era crollato, essendo restato nel Pci fin dopo la fine del Pcus (il partito comunista sovietico), era una follia. A sua volta voluta da un Prodi che sperava così di pagare il dazio della propria stabilità, importandogli assai poco la rottura del clima politico che si era creato con Ciampi (dopo la lugubre stagione del peggiore presidente: Scalfaro). Risultato: Prodi è stato ugualmente massacrato, dai suoi, Napolitano è restato al Quirinale ed il Parlamento successivamente eletto ha una maggioranza opposta a quella che lo votò. Chi parla, oggi, di bon ton istituzionale farebbe bene a ripassare i fatti, per capire che il problema non risiede nelle buone maniere.
Né c’entra nulla la “coabitazione”, perché quella riguarda il sistema francese, dove il Presidente della Repubblica è eletto direttamente dal popolo, e può capitare che, nel corso della sua presidenza, cambi la maggioranza parlamentare, anche questa determinata dal voto popolare (capita anche negli Usa, con le elezioni di medio termine). Sicché i due indirizzi politici devono “coabitare”. Ma Napolitano non lo ha mica votato il popolo, ed il sistema costituzionalmente previsto dovrebbe servire a scegliere uomini che uniscono, non che dividono. Che funzioni poco, si vede. Il fatto è che neanche Berlusconi, come i suoi predecessori, lo ha eletto il popolo. Con la differenza che il capo del governo è espressione di una maggioranza politica determinata dagli italiani, laddove il suo nome sulla scheda è una finzione, o, se preferite, una presa in giro, mentre l’inquilino del Quirinale è espressione di un Parlamento che è vissuto solo il tempo necessario per piazzarlo dove si trova.
E allora? Allora lo andiamo ripetendo da troppo tempo: senza una stagione costituente non se ne esce, senza riscrivere le regole e fare riforme profonde si finisce con l’impantanare qualsiasi maggioranza, tradendo ogni mandato popolare. Poi, per carità, si può galleggiare sul niente, e senza nulla concludere, scambiandosi sorrisini e stringendo mani viscide, ma cambia solo la forma. Mentre a noi interessa la sostanza.