Politica

I due saggi dei dieci saggi

Osservazioni generali

  1. Il mandato era così poco chiaro che i saggi, nello scrivere il saggio, hanno sentito il dovere di tornare più volte a definire il lavoro che stavano facendo, oltre tutto riuscendo a farlo solo in negativo, montalianamente: quel che non è, quel che non vuole essere.
  2. I due documenti sono scritti seguendo linee redazionali diverse. Non c’è stato coordinamento fra i due gruppi. Il commento puntuale, pertanto, fa riferimento alle distinzioni dei paragrafi adottate dai saggi.
  3. I miei commenti si riferiscono ai punti che considero critici, o vacanti. Per comprenderli appieno si dovrebbe leggere il documento commentato. Non ho descritto i punti di consenso. Sia per ragioni di spazio, sia perché, per la verità, si riferiscono a cose così generiche che un po’ m’imbarazza anche solo ripeterle.

Il primo documento

Riforme istituzionali

Punto 2. Buona l’idea di dare i giorni delle riunioni, tanto per sottolineare che sono riusciti a far pausa per il fine settimana (sei giorni dopo la loro nomina).

Punto 6. E’ antica la polemica sulla democrazia interna ai partiti, ma anche sterile. Il punto è che si deve puntare sulla dinamicità ed efficacia del sistema selettivo democratico, vale a dire sul sistema elettorale e sulla sua coerenza con quello istituzionale, per far leva sulla necessità che i partiti politici trovino convenienza nel rendere effettiva e funzionale la loro democrazia interna, mentre, all’opposto, è vagamente astratto pensare che sia una forma democratica interna (quale, poi?) a rendere maggiormente effettiva la democrazia di tutti. La seconda strada, ovvero quella imboccata dai saggi, inoltre, non tiene conto di due cose: a. così come si ha il diritto di iscriversi a un partito si ha anche quello di non farlo, senza che per questo venga meno alcun diritto democratico; b. di tutto si sente il bisogno, meno che la giustizia venga ad occuparsi anche della vita interna dei partiti (infatti, quelli costruiti attorno allo schema terzinternazionalista ne avevano una propria e interna, i probi viri, che rispondeva, inutile dirlo, a criteri politici, sicché opinabili).

Punto 7. Propongono di fare referendum confermativi per ogni modifica costituzionale. Significherebbe essere obbligati a chiamare a referendum anche per modificazioni marginali e per aggiustamenti secondari, non solo sobbarcandosene i costi, ma con il rischio che le persone serie si disinteressino del tutto e vadano a votare solo i disturbatori. Una castroneria demagogica, che fa giganteggiare il sistema già previsto nell’attuale Costituzione.

Punto 8. Circa i referendum il documento è condivisibile fino a c) (questione delle firme e modalità d’accettazione). Il quorum costituzionalizzato ha un senso preciso, vale a dire misurare l’interesse della popolazione e bocciare quel che non interessa. Il nuovo quorum, proposto, che senso ha? O lo si cancella o quello esistente è congruo. Non capisco il punto e), tale previsione c’è di già: cinque anni. Il suo aggiramento non può essere impedito scrivendo norme, ma, semmai, dalla Corte costituzionale.

Punto 9. Le leggi d’iniziativa popolare devono essere per forza votate. Idea azzardata, perché subordina il Parlamento ai gruppi di pressione esterni. E’ uno dei grimaldelli che fanno saltare l’idea stessa di democrazia rappresentativa. L’esperienza insegna che ci sono mille modi, sia per ottenere lo stesso risultato che per aggirare tale previsione.

Punto 10. Discutere i lavori e interventi pubblici con le comunità locali, sull’esempio francese. C’è già una legge delega. Costituzionalizzare queste procedure porta solo a bloccare qualsiasi opera, determinando una competenza della Corte costituzionale.

Punto 11. Indeterminatezza del diritto. Chiaro il problema, fumosissima, per non dire inesistente, la soluzione proposta. Non hanno avuto il coraggio di dire: l’autonomia e irresponsabilità del giudice non può convivere con la totale libertà del suo giudizio, anche a prescindere dal dettato legislativo e dalla giurisprudenza consolidata. Saltata questo tema, il resto è aria fritta.

Punto 12. Propongono l’istituzione di una commissione mista, parlamentari ed esperti, per la modifica della Costituzione. Non è né carne né pesce. Non è organo politico e non è sede di compensazione tecnica. E’ tutto e niente. L’idea, poi, di referendum confermativi per parti omogenee significa accettare che alcuni pezzi siano poi approvati e altri respinti, sicché la nuova Costituzione diverrebbe un vestito d’Arlecchino. Oltre tutto tale punto è corredato da note circa dissensi personali, e se questo avviene con quattro persone, figuriamoci cosa accadrebbe elevandone il numero!

Punto 13. Tenerci l’attuale sistema o adottare il semipresidenzialismo? Il dilemma è mal posto, immaginando esista alternativa fra il sistema parlamentare (attuale) e quello semipresidenziale (che bocciano). Si ignora, però, che proprio il modello attuale ha visto debordare, anche dai limiti costituzionali, i poteri del presidente della Repubblica, proprio perché chiamato ad un ruolo politico attivo. Sicché non si può immaginare che si lasciano le cose come stanno, su tale punto, o si approda al semipresidenzialismo, perché per come stanno non reggono.

Punto 14. Il successivo punto non dirime tale questione, ma introduce ulteriore confusione. Si dice che, nel caso si restasse nello schema attuale, la fiducia dovrebbe essere chiesta solo alla Camera (il che comporta una modifica del bicameralismo, quindi è ultronea, perché se lo cambi è ovvio che la fiducia la chiedi a quel che resta), ma si dice anche che il governo non nasce con il giuramento (attuale articolo 92), bensì con la fiducia (attuale articolo 94), e questo è pericoloso, perché crea le premesse di pericolosi vuoti di potere. Che succede se un presidente si dimette e nessun altro riceve la fiducia? Ce lo si tiene comunque, anche contro la sua volontà? In quanto al potere di scioglimento, la previsine è sbagliata: il presidente del Consiglio deve potere chiedere e ottenere lo scioglimento, non solo chiederlo. La via di mezzo è non solo inutile, ma foriera di grossi squilibri.

Punto 15. Sui sistemi elettorali siamo alla presentazione del menù. Già abbondantemente conosciuto. Nulla di più, quindi lavoro inutile. Inoltre contiene un errore: non è vero che nessun sistema elettorale assicura la maggioranza in entrambe le Camere, perché ciò avverrebbe ove il premio di maggioranza fosse sempre nazionale, come originariamente proposto dal centro destra. Aggiungo che un sistema di quel tipo sarebbe esecrabile, come già lo è per la Camera dei deputati. Ma non per questo inesistente.

Punto 16. Istituire il Senato delle regioni. Si deve scegliere, e i saggi non lo fanno: o si è in un sistema federale (come in Germania), e allora esiste un Senato delle regioni (che essendo a presidio del federalismo non necessariamente si compone in maniera proporzionale alla popolazione), oppure si è Stato unitario e non federale, in quel caso il senato delle regioni non esiste, ma rimane la conferenza Stato regioni, che è cosa del tutto diversa. Preferisco la seconda ipotesi.

Punto 19. Sugli esiti elettorali deve decidere non più il Parlamento, ma “un giudice”, ma quale?

Punto 20. Gli accorpamenti delle regioni sono necessari e non possono essere fatti (come propongono) su base volontaria (campa cavallo), bensì rispondere ad un riassetto amministrativo delle autonomie locali. La riforma del Titolo V ha scassato lo Stato. Le riforme non devono essere ritocchi, va riscritto, soprattutto reintroducendo il principio di interesse nazionale. Gli stessi estensori parlano di “limitate modifiche”, ma poi demoliscono la sostanza di quella riforma. Se ne deduce che, benché “saggi”, hanno scritto in politichese.

Punto 21. Federalismo fiscale da adottare. Condivido. Ma sono scopi, non modalità e strumenti per conseguirli.

Punto 22. Riformare la giustizia. Anche qui sono obiettivi. Anche qui noti. Anche qui scritti e riscritti. Ma a che serve, se non si entra nel come? Quel che viene dopo non risolve. (Ad esempio: a che serve dire che la giustizia deve avere tempi più rapidi, cosa che condivide chiunque, se poi non si aggiunge punizione per lo Stato, nella persona del magistrato, che viola e supera quelli già previsti dalle leggi?).

Punto 24. Tempi della giustizia e garanzie per il cittadino indagato, intercettazioni comprese. La gran parte delle cose qui invocate sono già previste dalle leggi. Ma invocare non serve se poi non si ha modo di punire chi fa il contrario, o d’indirizzare il lavoro della giustizia nel senso invocato.

Punto 25. Sull’affollamento carcerario si supera la mera invocazione e si sfiora il vaniloquio. Sono cose ovvie, volute da tutti. Il punto è: cosa, come, quanto.

Punto 26. E’ il cane che si morde la coda: pensare che la giustizia civile possa essere sostituita dalla mediazione è come negarla, specie alle parti deboli; del resto, se non la si fa funzionare se ne incentiva l’uso ostruzionistico, specie da parte dei forti. Occorre accrescere il timore per questa degenerazione, incrudelendo, ad esempio, le sanzioni per la lite temeraria. In quanto alle questioni minori, già esistono giudici di pace e organismi di mediazione, inutile pestare l’acqua nel mortaio: li si faccia funzionare.

Punto 27. Buona l’idea che il giudizio disciplinare dei magistrati non sia solo interno al Csm, ma inutile distinguere in primo e secondo grado: il coinvolgimento di esterni avvenga fin da subito.

Punto 28. Magistrati e sistema della comunicazione. Manca il coraggio di dire che il magistrato non deve mai usare i mezzi di comunicazione per influenzare o sfruttare le inchieste che segue. Quel che qui è scritto è fuffa.

Punto 32. Il quel “occorre individuare” (un sistema per risolvere il problema) c’è la filosofia del saggio dei saggi: noi vi diciamo il problema (grazie) voi trovatevi la soluzione (arigrazie).

Punto 33 (14). Nella “fretta” i saggi hanno perso il conto della numerazione, sicché dopo il 32 arriva il 14. Non credo affatto che il finanziamento pubblico dei partiti sia ineliminabile, e non credo che cancellarlo significa agevolare i ricchi (semmai il mantenerlo favorisce i vecchi). Credo che si dovrebbe cambiare radicalmente la materia, rendendo assai più semplici e defiscalizzate le donazioni private e i contributi dei cittadini. Alla politica, da parte dello Stato, si dovrebbero offrire spazi e servizi, non fornire soldi.

Il secondo documento

L’agenda possibile

Punto 1. Il quadro dei problemi e degli obiettivi viene definito con molte più parole, ma con lo stesso spirito ficcante degli economisti chiamati a consulto da Paperon de’ Paperoni, i quali, dopo lungo e rumoroso ponsare, dichiarano: occorre far aumentare le entrate e diminuire le uscite. E se ne vanno soddisfatti. Il tirchiaccio, saggiamente, omette di pagarli. E’ giusto dire che si deve: a. mantenere la coesione territoriale; b. tutelare il risparmio; c. rispettare la Costituzione. Forse non era necessario pensarci specificamente.

Che siano i saggi a suggerire di utilizzare le eventuali risorse disponibili per soccorrere i bisognosi è confortante, ma credo che qualsiasi politicastro sarebbe stato capace di analogo pensiero. Il punto rilevante, naturalmente, è altro: dove trovare le risorse e come conciliare l’assistenza con il rilancio del sistema produttivo.

Punto Sintesi delle proposte. Sono così sintetizzate che praticamente non ci sono, le proposte. E’ solo un lungo elenco di obiettivi, oltre tutto senza una precisa scelta di livello e priorità. Se si prende la pubblicistica economica e i documenti associativi degli ultimi mesi si trova tutto già detto. Il punto è: come, in che tempi, con che priorità? Ma resta inevaso.

Punto 3.1. Ritengono opportuno privilegiare il credito d’imposta per i redditi bassi, rispetto al sussidio di disoccupazione o al reddito minimo. Anche qui il problema non è di principio, ma nella definizione e attuazione della scelta. Invece si trova scritto che si deve stare attenti ad evitare abusi, elusioni e raggiri. Il che sarà anche saggio, ma non molto utile.

Punto 3.2. Non ci volevano i saggi per dire che entro giugno occorre rifinanziare la cassa integrazione in deroga, il contributo utile sarebbe consistito in qualche idea originale circa il reperimento del miliardo necessario. Ma non c’è. Né ci voleva molto per dire che si deve affrontare la questione degli esodati, naturalmente appurando il loro numero, ancora fumoso. Giusto. Idee? Nessuna.

Punto 3.3. Dall’internazionalizzazione all’Expo 2015 sono solo aspirazioni generiche a che le cose funzionino. Non c’è una proposta che sia una.

Punto 3.4. Leggi della necessità di garantire credito alle piccole e medie imprese e pensi che, finalmente, si arriva al succo, invece si trova solo la proposta di rafforzare per altri due miliardi il Fondo Centrale di Garanzia, le cui dimensioni e possibilità operative resterebbero comunque assai piccole. Qui si parla di finanziamenti troppo piccoli a imprese troppo piccole, mentre resta inevaso il più vasto tema del credito alla produzione.

Punto 4.1. Pagare i debiti della pubblica amministrazione verso le aziende. Non è il titolo, è tutto il contenuto. Come, con che procedure, in che tempi reali? Vuoto. Eliminare i vincoli autorizzativi non necessari. Anche in questo caso il contenuto è già finito. Quali, come, con che controlli? Alla prossima puntata.

Punto 4.2. Migliorare il sistema fiscale. Appurato che la pressione fiscale è molto alta e che certe imposte, come l’Imu, andrebbero rimodulate escludendo la prima casa (l’ho già sentita), la necessità messa in luce è quella di approvare la legge delega, sul riordino fiscale, in discussione infruttuosa nella scorsa legislatura. I saggi hanno scoperto, insomma, che si dovrebbe fare quel che provarono a fare governanti e politici. Idee nuove? Suggerimenti specifici? Nessuno.

In quanto ai contenziosi e al trattamento del cittadino, si conviene che se ha ragione bisogna che qualcuno gliela dia. Il che pare saggio. Subito dopo, parlando di lotta all’evasione, si propone d’intensificare i sistemi statistici e presuntivi, come anche gli studi di settore. Restando il fatto che se il contenzioso funziona come oggi quelle contestazioni saranno vessatorie per i piccoli e inutili per i grandi evasori.

Punto 4.3. Perseguire la certezza del diritto e la chiarezza delle leggi. Che quasi non ci si crede, ma in effetti lo hanno suggerito.

Punto 4.4. Migliorare istruzione e capitale umano. Ci vuole una scuola migliore, contrastando gli abbandoni e premiando il merito. Concorrenza, mercato, valore legale del titolo di studio? Neanche una parola. Il che conferma che, in effetti, ci vuole maggiore selezione.

Punto 4.5. Segue invocazione della concorrenza, a tutela del consumatore. Che è cosa buona e giusta. Ma l’analisi fa largamente premio sulla proposta.

Punto 4.6. Ricerca, innovazione e crescita nuovi soggetti. Si osserva giustamente che il capitale di rischio favorisce queste cose più di ogni altra cosa, e si lamenta il fatto che in Italia ne affluisca meno che altrove. Il fatto è che ciò capita perché abbiamo regole assurde, giustizia non funzionante e tassazione maniacale. Sarebbe su questo che si dovrebbe agire. Mentre il tema è colto quale ulteriore occasione d’invocazione. Osservano che più le aziende sono grandi più fanno ricerca e sviluppo, lamentando che in Italia sono quasi tutte piccole. Come mai? Tornino a studiare il tema del fisco e della legislazione del lavoro, così saranno preparati per le prossime domande. Per gli investimenti in ricerca e sviluppo si propone il credito d’imposta, che andrebbe bene, se poi non si penalizzasse chi cresce e non si pretendesse che gli innovatori siano tutti dei nanerottoli ai primi vagiti.

Dello stesso tenore le analisi su ambiente e questione meridionale.

Decine e decine di pagine. Lette forse in fretta, ma scritte in troppo tempo. Anche perché non sono riuscito a leggere una sola cosa che non abbia letto già alcune centinaia di volte.

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