Politica

I giovani di Genova

Per come si sono messe le cose, Genova sembra la premessa di una serie di guai. A farne le spese non saranno i responsabili. Il governo stia attento a non confondere i gesti di violenza con le manifestazioni di piazza, dato che le seconde vanno rispettate mentre i primi vanno repressi con precisione e decisione.

Si ricordi, anche, che non esiste il dovere (se non morale, naturalmente) alla denuncia e che, quindi, non si è conniventi solo perché non delazionanti.

Ciò significa che se gruppi di giovani, pur non unendosi ad altri gruppi violenti, li hanno protetti o nascosti, sono accusabili di favoreggiamento e per questo perseguibili; ma fuori da quest’ipotesi ci sono solo chiacchiere al vento, ed assai pericolose. Il peggiore dei risultati possibili sarebbe quello di consegnare il marchio di violenza ai tantissimi che, invece, hanno sfilato in modo composto e regolare. Sarebbe un errore capace d’alimentare, eccome, le fila dei dissennati.

L’oscar della vergogna sia consegnato agli Agnoletto ed ai loro mentori politici, Bertinotti in testa. Gente eletta o designata da nessuno, rappresentante altro che se stessi, desiderosi di porre il cappello su un fenomeno sociale di cui non colgono né l’origine né il fine, ma che consente loro di galleggiare in incosciente visibilità. Spiantati dalla politica sovraeccitati dall’essere finalmente giunti laddove il loro cuore li ha sempre spinti: davanti ad una telecamera. Evviva, che gioia, che orgasmo. Del resto, chi se ne frega.

La sinistra italiana esce rintontita da un’ennesima contraddizione non risolta. Incapace di guardar le cose con gli occhi del realismo, incapace di elaborare politica che non sia slogan, si trova a rimorchio di un ribellismo suicida, di un untuoso strizzar l’occhio ad un mondo che le è estraneo. Si pensi a quanto le cose andrebbero diversamente, a quanto sarebbe più duro per il governo sfuggire alle difficoltà, se nella sinistra abitasse la politica. Centocinquanta o duecentomila persone sono tante, troppe per potere essere frutto di una macchina organizzativa, per potente che sia. E noi sappiamo che la macchina organizzativa era poca cosa, miserrima se ha autocraticamente scelto come portavoce uno spiritato ed un forforoso dalla prosa confusa. A Genova, quindi, ha sfilato molta partecipazione spontanea, sia pure agevolata dallo sbarcare sui lidi italici in una stagione non priva d’attrazioni.

Quei giovani hanno fatto i giovani, hanno, cioè, manifestato la protesta contro un mondo che, come sempre i giovani, vedono prigioniero di logiche e pulsioni negative. Non vanno né sottovalutati né osannati, ma si rifletta su un punto. Il giorno dopo la manifestazione genovese il cantante Bono (uno alla Jovanotti, pronto a battersi per il bene, purché coincida con il facile e con l’ovvio), intento a rimpolpar la tasca dopo aver dato fondo all’anima, si esibiva in concerto poco distante. Durante il concerto ha più volte provato a strappare l’applauso dello stadio gremito, ricordando le proteste del giorno prima. Niente, nessuno, dagli spalti, rispondeva al richiamo di chi, a pagamento, canta la cancellazione dei debiti di cui non è creditore. Intervistati all’uscita molti ragazzi hanno detto di essere andati solo per la musica e di non essere interessati al resto. Ecco, Bono se li merita, quei ragazzi lì, ma a noi stanno più simpatici quelli di Genova. Attenzione, però, i giovani che mostrano passione che animano una protesta, che s’impegnano per dar corpo alle loro idee e fantasie, meritano rispetto, ed il rispetto comporta la sincerità e la chiarezza. Quei ragazzi, insomma, non meritano di essere coccolati in modo ipocrita, meritano, invece, di essere seriamente contraddetti. I movimenti no global sono una granpresa per le chiappe, oltre ad essere fra le cose che più desiderano essere global.

I giovani che bersagliano le insegne delle multinazionali con i sassi e le bottiglie incendiarie sono dei teppisti, ma quelli che le bersagliano con la protesta hanno idee confuse. Battersi contro la fame nel mondo è cosa buona e giusta, ma farlo senza porsi il problema dello sviluppo (e dei suoi costi, anche ambientali) è roba da zitelle dame di carità.

Infine le forze dell’ordine. Non abbiamo elementi per esprimere un giudizio documentato sul loro operato e sulla saggezza di chi le ha dirette. Ci par di capire che quegli elementi scarseggiano anche nei giudizi altrui. Ma abbiamo occhi per vedere, e quel che abbiamo visto ci spinge ad esprimere tutta la possibile solidarietà verso quei carabinieri assediati nella camionetta da cui è partito il colpo mortale.

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