A cosa punta il governo? Perché prima serve sapere qual è l’approdo desiderato e poi si può valutare se la rotta scelta, tenendo conto di venti e correnti, sia quella giusta. C’è chi risolve la faccenda in modo più semplice: se il governo è di quelli della mia parte, allora fa bene e va bene; se è di quelli dell’altra parte, va male. È un metro così stupido da non misurare che dall’una e dall’altra parte le parti sono diverse e contrastanti.
Prendiamo la materia economica. A cosa punta il governo? Credo desideri fare sgravi fiscali Irpef e tagliare il più possibile il cuneo fiscale. Sarebbe un nobile obiettivo. Al tempo stesso un duro cimento, ma da appoggiarsi. L’Italia ha un debito pubblico spropositato, mentre l’indebitamento privato è basso e considerevole il patrimonio delle famiglie. Se non voglio mettere a rischio i risparmi (ad esempio: alta inflazione e bassi tassi d’interesse favoriscono l’indebitato e fregano i risparmiatori) devo lavorare a che diminuisca la spesa pubblica corrente (la mitica spending review) e si acceleri il calo del debito, di modo che la meta degli sgravi fiscali non sia un miraggio. Invece si vede il contrario: il deficit cresce assieme al crescere della spesa corrente e il rientro dal debito rallenta, sicché gli sgravi fiscali, che saranno omeopatici, sono anche illusori perché contengono la promessa di più pesante fiscalità per onorare il costo del debito. Dove punta il governo?
Prendiamo il tema dell’immigrazione. Non siamo il Paese con più immigrati né quello con più richiedenti asilo (la Germania ne ha molti di più), ma siamo quello con più sbarchi. Per ovvie ragioni geografiche. Il governo, mi pare di capire, punta ad accordi esterni che blocchino le partenze e accordi interni all’Unione europea che ripartiscano il peso degli arrivi. Sulla prima cosa abbiamo la copertura della Commissione Ue, salvo il fatto che gli interlocutori sono inaffidabili. Il caso del tunisino Saied è istruttivo e altri non sono messi meglio. Sulla seconda, la ripartizione, chi oggi governa fece e fa pappa e ciccia con chi ne nega anche soltanto l’ipotesi, insolentendo quanti considerano necessario l’ingresso di forza lavoro e pone il tema dello sceglierla. Mentre il tema dei salvataggi in mare è irrilevante, perché nessuno – che non si sia mangiato anima e cervello – afferma che non vadano fatti. La grande parte sono a opera di navi istituzionali e il loro numero dipende niente altro che dalle partenze, una volta detratti quelli che sbarcano da soli e quelli che da soli crepano affogati. Noi stiamo andando a cercare liti con quelli che assorbirebbero più immigrati e/o attivano mezzi comuni per farvi fronte, sollevando l’inutile (e per certi aspetti oltraggioso) tema dei salvataggi. Dove si punta?
Sull’accelerazione produttiva mi pare di avere capito che chi governa sia contro l’Italia del “No”. Bene. Anche se me li ricordo con le magliette “No Triv”. Poi li vedi che sono per il no agli investimenti concorrenziali nel turismo balneare, per il no della messa a gara delle aree demaniali, per il no all’obbligo dei pagamenti elettronici. Dove puntano?
Si dissero trumpiani perché contro la sinistra, anche compiaciuti di una certa sguaiatezza. Poi si ritrovano bideniani e positivamente al fianco dell’Ucraina, ma alleati dei putiniani. Dove stanno?
Il nocciolo è l’identità, senza distinzione di destra e sinistra. Le ideologie fornivano (false) visioni del mondo: morte quelle rimane la visione di sé, la suggestione di un identikit posticcio che si finge identità. Ciascuno tenta d’essere coerente con la visione che prova a dare di sé, ma alleato di identikit opposti. Quindi incoerenti. E appresso a queste incollature improbabili va un interesse nazionale che forse di ciò è la causa, nel senso che non lo si conosce e riconosce. Il fallimento della politica è generato e genera il rattrappirsi delle idee e l’incapacità dei legittimi interessi particolari di vestire i panni degli interessi generali.
Davide Giacalone, La Ragione 30 settembre 2023