Politica

Idioti o filibustieri

Due società quotate in Borsa in affari con la ‘ndrangheta? Confesso di non riuscire a crederci. Attendo, come tutti, lo sviluppo delle indagini, spero giunga una sentenza in tempi ragionevoli, nel frattempo coltivo, per esercizio di civiltà, il rispetto per la presunzione d’innocenza. Ma quel principio riguarda le singole persone, mentre il sistema che sembra essere stato scoperchiato è così fetido, così incredibilmente corrotto, che non può che riguardarci tutti. E non si può attendere, anzi, si deve attingere alle cose tante volte scritte e trarre subito conclusioni dolorose.

Pongo in un canto la questione della ‘ndrangheta. Se fosse vera anche questa ci sarebbe da augurarsi solo il fioccare delle condanne. Ma anche senza la criminalità organizzata, il quadro reso dalle ipotesi d’accusa è inquietante. Non per l’evasione fiscale in sé, ma per quel che presuppone e racconta circa il funzionamento di società così importanti. L’idea che Fastweb e Telecom Italia Sparkle si siano prestate a raggirare il fisco, creando all’estero fondi neri equivalenti all’iva evasa (20% del fatturato, che si suppone fasullo) e giovandosi, in Italia, di crediti d’imposta per 96 milioni, presuppone la piena consapevolezza dei rispettivi vertici aziendali. Ed è appunto questo che, pur in attesa che vi sia un giudizio, autorizza una riflessione: Swisscom, che ha comperato da Silvio Scaglia il controllo di Fastweb, ha comunicato, serafica, che era al corrente di tale genere di problemi, ed attende che si specifichino le accuse; Telecom Italia, che possiede totalmente la Sparkle, e che quindi, totalmente ne risponde, ha comunicato di sentirsi parte lesa. Sono, lo scrivo con serena fermezza, posizioni inaccettabili.

Le società per azioni, in particolare quelle quotate, non sono come il ripostiglio di casa, dove ciascuno può mettere quello che gli pare. Sono soggetti giuridici che rispondono a regole precise, il cui patrimonio è un bene non ascrivibile a questa o quella persona. Ipotesi criminali come quelle di cui stiamo parlando comportano, necessariamente, il fallimento o la complicità di tutti i sistemi di controllo, interni ed esterni alla società. Una bancarotta morale d’enormi dimensioni. Se gli amministratori di una società hanno l’impressione che qualche irregolarità sia ascrivibile alla gestione precedente, e ritengono che questo possa nuocere agli interessi di quel che amministrano, hanno non il diritto, ma il dovere di sollevare un’azione di responsabilità nei confronti di chi li ha preceduti. Sono tenuti a farlo, proprio perché non governano affari propri (nel qual caso potrebbero anche accettare d’essere stati gravemente danneggiati), ma interessi collettivi.

Nel caso di Telecom Italia, poi, sarebbe la seconda volta che pretende di considerarsi “parte lesa” per condotte ascrivibili a se stessa e ai propri dipendenti. A Milano, dove è ancora aperta l’udienza preliminare relativa agli “spioni”, Telecom si considera vittima, ma, al tempo stesso, chiede al giudice di potere patteggiare, risarcendo le vittime (ma solo quelle che sono anche propri dipendenti). Ammettendo tale responsabilità, e dicendosi pronta a scucire quattrini, Telecom ammette i crimini, ma li mette in capo al responsabile della sicurezza ed ai suoi uomini (che nessuno controllava, ammesso che una cosa simile sia credibile). Cosa succede, però, se le altre vittime dello spionaggio otterranno il diritto ad essere risarcite? Dovranno uscire altri soldi. E perché la società deve perdere quei denari, senza chiederne conto a chi ha creato il danno? Capisco, però, la tattica: i tempi della giustizia sono talmente lunghi che … campa cavallo.

Ora, però, mette in atto la stessa tattica, si dichiara ancora “parte lesa” a fronte di un ipotetico crimine strettamente connesso all’attività istituzionale, le telecomunicazioni. Se è così, che ci stanno a fare i vertici aziendali, a che servono i controlli, e perché si è prima creata e poi tenuta in vita una società totalmente posseduta? La procura ha chiesto il commissariamento di Fastweb, società quotata, e di Sparkle, proprietà esclusiva di una società quotata. Non si sa cosa augurarsi: che le accuse siano tutte, totalmente infondate, immaginando la giustizia in mano ad idioti, o che le indagini siano state fatte in modo serio, restituendo la realtà di un mercato in mano a filibustieri. Tutto questo, lo ripeto, pur tenendo in un canto la ‘ndrangheta.

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