Politica

Il buco e la pezza

La scena è deprimente. Nessuno ne esce bene. Gli errori, gravi, commessi dal centro destra, sono sotto gli occhi di tutti, ma è altrettanto evidente che non possono tradursi in un danno per gli elettori, quindi per la democrazia. In un sistema serio i colpevoli pagano, il centro destra non si sottragga a questa regola, e non provi a usare solo capri espiatori di terzo livello, occorre che ci si assuma la responsabilità politica di quanto accaduto.

Ma torniamo alla problema ancora irrisolto. Giovedì sembrava che ne fossero consapevoli in tanti, compresi Pier Luigi Bersani e Antonio Di Pietro, come anche i radicali. Ma giovedì sera è mancata la ragionevolezza istituzionale: il governo era pronto ad assumersi una difficile responsabilità, rimediando con un decreto legge, che l’opposizione avrebbe dovuto avversare, ma non impedire, invece le cose sono andate diversamente ed è stato il Quirinale ad assumersi la responsabilità di fermare tutto. La giornata di ieri è trascorsa con la piaga ancora aperta ed infetta, spingendo le opposizioni a incrudelire la loro posizione. “Situazione assurda”, ha detto il presidente del Consiglio. Non c’è dubbio. Anche incresciosa.

Il consiglio dei ministri, convocato in serata, non è riuscito a chiudere il decreto senza discutere. Forse alla maggioranza non è ancora chiaro, ma più discutono all’interno e più si allargherà il dibattito esterno, rendendo maggiormente onerosa la sanatoria del guaio. Alla fine un punto di mediazione è stato raggiunto: l’importante era trovarsi dentro l’edificio che contiene gli uffici elettorali. Il che rende possibile la soluzione, ma non la contiene, perché sarà pur sempre la magistratura a doversi pronunciare. Una specie di venirsi incontro a mezza strada.

Il fatto è che non si poteva lasciare ai tribunali il compito di dirimere una partita politica. La responsabilità di avere portato ai giudici l’arbitraggio della campagna elettorale è del centro destra, ma spetta a tutti, o, almeno, agli assennati, rendersi conto che si sarebbe trattato di una condizione innaturale e pericolosa. Da queste colonne, a botta calda, ho usato parole dure, rivolgendole al Popolo delle Libertà. La loro condotta è imperdonabile. Si deve essere istituzionalmente ciechi, però, per non capire che occorre porre rimedio, nell’interesse di tutti, non di una sola parte.

Nel  1995 lo si fece, auspice proprio Marco Pannella. Era una situazione diversa, ed il decreto legge (governava Lamberto Dini e controfirmava Oscar Luigi Scalfaro) fu varato a poche ore dall’esaurirsi del tempo limite, prorogando di due giorni la scadenza per la presentazione di liste e firme. Quel decreto, e tale aspetto è assai rilevante, non solo non fu convertito in legge, ma bocciato, per incostituzionalità, dal Parlamento. Allora fu il centro destra a tenere la posizione più dura, usando gli stessi argomenti che ora si trovano in bocca alla sinistra. Istruttivo, vero? Fu una legge a risolvere la questione, sanando la decadenza del decreto e salvando il risultato delle elezioni. Fu una scelta saggia? Fu una scelta obbligata, caotica, colma di strafalcioni, come anche oggi, ma fu saggia, perché impedì di processare la democrazia, o di chiedere, com’è stato inopportunamente fatto nei giorni scorsi, che siano i giudici a valutare più la sostanza che la forma. Questo, anche oggi, è il rischio più grande.

L’occasione, penosa, torna utile per riflettere su due cose. La prima è relativa alle leggi elettorali, che, all’evidenza, non riescono ad essere rispettate neanche da chi le fa. Quando i cittadini incorrono in questo genere di problemi, finendo nelle sabbie mobili della burocrazia, nessuno va a salvarli. Chi, oggi, si salva da sé solo, almeno abbia il buon senso di cambiare le norme e renderle più razionali. La seconda: abbiamo tanti sistemi elettorali quante sono le assemblee e elettive, e già questo è pazzesco. Le leggi elettorali regionali risentono anche dell’autonomia legislativa di ciascun ambito territoriale. Il mondo politico ha avuto un doloroso saggio di quale caos questo può portare.

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