Politica

Il corridoio

Bisognerebbe bandire “migranti” dal vocabolario politico e civile, restituendolo alla zoologia. E’ una delle truffe semantiche che ci sono in circolazione. Cambiar nome alle cose per confondere le idee. Così, a forza di parlare di migranti, c’è chi specula sulle paure collettive e chi sulle disgrazie di chi s’è trovato la guerra in casa. Uno spettacolo non solo disdicevole, ma che porta e fa male.

Il corridoio umanitario è una gran bella cosa. Basterebbe conoscere la storia di Ruba, una ragazzina di quindici anni, che l’associazione Auxilia sta cercando di portare in Italia: siriana, si trova nell’orfanotrofio di Reyhanli, in Turchia, il padre assassinato perché oppositore di Assad, chiede di potere studiare medicina, vuol fare il medico, dal giorno in cui una bomba russa ha centrato la sua scuola e lei ha visto morire i suoi compagni, senza che nessuno li soccorresse. L’italiana Auxilia è diretta da un medico, Massimiliano Fanni Canelles, ha campi, scuole e ospedali in Siria, Afghanistan, Sri Lanka. Hanno promesso a Ruba che potrà studiare, che verrà in Italia, che se sarà brava potrà coronare il suo sogno. Sono storie che gonfiano il cuore, di pietà e d’orgoglio. Chi non prova un brivido ha a sua volta bisogno di soccorso. Gli ambasciatori d’Italia, nel mondo, non sono solo i diplomatici per mestiere, sono gli imprenditori dei nostri marchi e del nostro sapere fare; i militari impegnati in diversi quadranti; i volontari dei soccorsi umanitari. Che abbiano un corridoi da utilizzare è un bene. Ma bisogna intendersi.

I profughi non sono migranti, sono persone in fuga dalla guerra. Perché funzioni un percorso protetto e facilitato, per evitare miserevoli speculazioni, occorre che sia controllato all’imbocco, non allo sbocco. La richiesta d’asilo avviene, formalmente, allo sbarco sul nostro territorio, ma il riconoscimento di profugo deve avvenire alla partenza. E questo non è un lavoro che ciascun Paese possa e debba fare da e per sé, questa è la ragione per cui esiste l’Onu. Tocca a loro organizzare aree di accoglienza, nel luogo più vicino a quello da cui si fugge, in modo da riconoscere e organizzare. Altrimenti che ci stanno a fare i segretariati che si occupano dei profughi, solo a far predicozzi troppo ben pagati? Ruba è stata raccolta da Auxilia in Siria e Turchia, quindi la portano in Italia. Non il contrario.

Una volta arrivati da noi non si crei la categoria dei “richiedenti asilo”. Basta girare per le zone attorno ai posti dove vengono ospitati: ragazzi che ciondolano l’intero giorno, a passeggio fra un paesino o un bar e l’altro. Nel migliore dei casi è uno spreco, nel peggiore un insulto a chi lavora per vivere. Se all’asilo hai diritto ti deve essere riconosciuto, altrimenti te ne devi andare. Quel che non deve capitare è la lunga e inutile marinatura dell’attesa, propedeutica alla scomparsa prima del rifiuto.

Un Paese che accoglie i profughi si fa onore. Un Paese che accoglie Ruba merita rispetto. Ma ha anche un dovere: non accettare che la sorte di queste persone sia mescolata con quella degli emigranti economici. Questi secondi non sono figli del demonio, sono anch’essi umani da rispettare. Ma non hanno il diritto d’entrare, né noi il dovere di accoglierli. Può andare così, se nel reciproco interesse. Ma può andare all’opposto, nel qual caso il respingimento non è un atto d’inciviltà, ma di responsabilità. Mostrarsi indecisi, replicare lo schema dei “richiedenti asilo”, vuol dire alimentare la fabbrica della clandestinità, a sua volta funzionale a quella della criminalità. Con il che l’incapacità di affrontare il problema rilascia in giro soggetti capaci di trasformare un popolo accogliente in una massa repellente. Un capolavoro.

I governanti che hanno accolto, a Fiumicino, un folto gruppo di profughi siriani hanno parlato di “migranti”. E’ un grosso e pericoloso errore. I due gruppi non vanno confusi, altrimenti si perde la distinzione fra diritti e doveri. Anche se temo che molti di quelli che occupano la scena, tanti di quelli che parlano degli umani come fossero stormi, quella distinzione non l’abbiano mai conosciuta, convinti che i diritti possano esistere senza doveri. La formula migliore per perdere il diritto.

Pubblicato da Libero

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