Politica

Il dettaglio

E’ giunta l’ora della verità, sostiene Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera: il governo è immobile, catatonico, il partito di maggioranza relativa chiuso nella disperata difesa del suo fondatore e capo, il quale s’avvia al disfacimento. Che aspettano gli uomini di quel partito, si chiede il professore, a prenderne atto e agire di conseguenza? Qualche volta si ha la (sgradevole) sensazione che i cattedratici leggano solo sé stessi, immaginando che i problemi esistano solo dal momento in cui ne scrivono e supponendo che un incendio sia in corso solo dal momento in cui lanciano l’allarme, anche se le fiamme e il fumo erano visibili da un pezzo. Non intervengo per polemizzare, ma per segnalare al professore che il guasto da lui evidenziato, quello di cui tutti parlano, è solo un dettaglio. L’Italia non annaspa su un lato dello schieramento politico, ma nell’insieme della sua vita collettiva e istituzionale.

Chi qui scrive non è un militante politico, solo un osservatore. Molto interessato, perché molto legato alla sorte del Paese. Pubblico quel che penso su queste pagine, che non risultano essere pregiudizialmente ostili a Silvio Berlusconi e alla maggioranza odierna. Ciò non mi ha impedito di vedere e di raccontare, fin dal giugno dell’anno scorso, che la legislatura era incamminata su un binario morto. Gianfranco Fini non aveva ancora scoperto l’insopprimibile (e inedito) bisogno di democrazia interna al suo partito, ma già c’erano tutti gli elementi che segnavano l’inizio della fine della legislatura. Ad un anno dalle elezioni passate e a tre dalle successive. Troppo presto. Giorno dopo giorno (carta canta) abbiamo illustrato non solo i problemi della politica politicante, ma scandagliato il lungo e delicato elenco delle cose fatte e di quelle da fare, illuminando le insufficienze più dei successi. Galli della Loggia, però, ne converrà: nessuna democrazia s’è mai sentita male perché un governo delude o fallisce, basta cambiarlo, i guai seri cominciano quando a fallire è il sistema istituzionale, l’insieme del mondo politico, sicché i cittadini vedono il dramma, ma non l’alternativa.

Se si guarda all’insieme delle democrazie occidentali, in questi anni di crisi economica e riadattamento ad un mondo diverso e globalizzato, si scopre che il nostro è l’unico governo a non avere perso le elezioni di medio termine o le amministrative. Vogliamo metterlo nel conto, o da dentro le mutande di uno solo non si riesce a guardar troppo lontano? Quelle vittorie (due: europee e amministrative) non certificano l’assenza di problemi, ma la debolezza delle alternative. Posto ciò, che mi pare solare, come può venire in mente che il problema vada risolto in casa di chi vince anziché di chi perde, che debba cambiare chi prende più voti, e non chi non ci riesce? Ecco la risposta: viene in mente a chi ragiona in termini esclusivamente berlusconicentrici. Ma è una scuola di pensiero ad alto rischio, difatti non riescono a partorire altre idee che non siano il colpo di palazzo (modello 25 luglio) o il commissariamento della democrazia (modello governo che nessuno ha mai votato).

Quindi, concordo con Galli della Loggia: è giunta l’ora. Ma di aprire gli occhi e di piantarla di credere che tutto si riassuma nelle grandezze e nelle miserie di un uomo solo, di supporre che se lo si eliminasse, se lo giubilassero i suoi gerarchi (visto che non ci s’è riusciti in altro modo), d’incanto il Paese ricomincerebbe a correre. Perché c’è un limite alla dabbenaggine.

Berlusconi è l’interprete di una maggioranza elettorale, non colui il quale l’ha creata. E’ il prodotto di una storia, non il suo autore. Quell’Italia non si fa mettere in minoranza da una sinistra ideologizzata e retrogada, imbevuta di miti ottocenteschi (i peggiori, di quel secolo) e contorniata da fascistelli giustizialisti e qualunquisti. Noi da questo pantano non ne usciamo se non mettendo in cantiere un salto istituzionale, capace di affrancarci dalla calamità di un bipolarismo fatto di coalizioni disomogenee e incapaci di governare. Il che non significa tornare al passato, ma mettere piede nel mondo delle democrazie maggioritarie e con governi forti. E non ci riusciremo mai se continueremo a credere che Berlusconi sia la diga contro tutti i mali o l’argine che li genera tutti. E’ un leader liberamente votato dalla maggioranza relativa degli italiani, ininterrottamente dal 1994. Con lui si fanno i conti e si ragiona di riforme. La cosa peggiore è che passi senza che quei conti siano fatti.

Le coscienze democratiche, le cattedre e gli uomini liberi, che non hanno coinvolgimenti diretti, dovrebbero avere qualche cosa di più che il coraggio dell’ovvio e del luogo comune: la capacità di vedere e render chiaro agli altri. Mestiere ingrato, nell’Italia delle tifoserie fanatiche e dei moralismi senza etica.

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