Politica

Il dovere della memoria

Fini, nuovo presidente della Camera e terza carica dello Stato, ha sostenuto che con la sua elezione (opportunamente citando i precedenti di Violante e Bertinotti) termina il dopoguerra. Siamo nel 2008, sono passati sessantatre anni! Egli ha (speriamo) ragione, ma in Francia od in Inghilterra chi sostenesse una cosa simile sarebbe ricoverato. Anche in Germania (patria del nazismo e potenza, fortunatamente, sconfitta), chiamerebbero la neurodeliri. Da noi, invece, scontiamo la permanenza non del dopoguerra, ma dei fossili della guerra fredda.
I venti anni di regime fascista sorsero con un consenso spontaneo e di massa, durarono con un consenso che si voleva totale (e non lo fu) e non spontaneo, si chiusero nella rovina della guerra, senza una vera e vasta rivolta popolare, grazie agli eserciti alleati. Eppure, dopo quel ventennio, la Repubblica nacque con una classe dirigente nuova, non caratterizzata da “ex”. Certo, data l’assai vasta adesione era chiaro che tanto la burocrazia, quanto le professioni e le arti, sarebbero state popolate da chi fu fascista. Ma la dirigenza politica segnava la rottura con quel passato. Nell’Italia d’oggi, dopo quarantasei anni Repubblica proporzionale e quattordici di falso-maggioritaria, facciamo ancora i conti con chi fu fascista e chi fu comunista (più qualcuno che è fascista o che è comunista, ma entrambe marginali), ovvero con reduci di partiti e culture che non hanno governato la libertà, lo sviluppo e la ricchezza.
Questa roba da matti la dobbiamo alla reiterata abitudine di falsificare la storia, di voltarne le pagine senza averle digerite, di dimenticare senza prima aver capito. Ciò comporta un equivoco profondo su quel che siamo, come realtà nazionale, dove e come ci siamo arrivati, provocando l’incapacità di cambiare nella continuità. Siamo poco allenati alle riforme vere, preferiamo le grandi epurazioni, terribilmente gattopardesche. Così è capitato che, meno di quindici anni fa, abbiamo azzerato la classe politica democratica ed abbiamo ripescato gli avversari del mondo nel quale ci piace vivere. Poi, per carità, anche quelli non rinunciano né al benessere né alla libertà, quindi cambiano. Ma, ecco, se si vorrà sperare nel cambiamento, e non solo nel trasformismo, non si trascuri la memoria: vera igiene della politica.

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