Politica

Il falso dei falsi

Falso e ipocrita, lo scandalo delle firme false. Perché sono quasi tutte false. E dico “quasi” giacché possono pure esserci delle eccezioni, ma sono tutte false. Ricorsi e accertamenti di falsità ci sono stati per ogni dove, e continueranno a esserci. Senza distinzione di schieramento. Vediamo se si riesce a parlarne seriamente (cosa di cui dubito), esaminandone i tre aspetti più rilevanti e proponendo delle soluzioni.

La prima questione è relativa alla raccolta delle firme: secondo la legge devono essere apposte, da elettori, in calce alla lista dei candidati, nonché autenticate da un notaio o da un pubblico ufficiale abilitato, presente all’atto della sottoscrizione. Non avviene praticamente mai. Quando le cose vanno bene, quindi nel migliore dei casi, si tratta di firme autentiche, di persone reali e consenzienti, che firmano davanti all’autenticatore, ma su un modulo in bianco. Magari riporta l’intestazione con il nome della lista, ma non l’elenco dei candidati, che si tiene aperto fino all’ultimo minuto. Ho documentato casi di candidati che hanno sostenuto di essere stati in lista fino alla sera prima, salvo vedersi depennati al mattino. Posto che nessuno li ha smentiti, anzi, semmai si sono spiegate le ragioni dell’esclusione, la domanda è: come hanno poi fatto a raccogliere e autenticare centinaia di firme nella notte? Impossibile: le firme c’erano prima della lista. In tal caso è il pubblico ufficiale a commettere un reato. Nonostante noi lo si sia scritto, nonostante resti intonso il totem dell’obbligatorietà dell’azione penale, non è successo un bel nulla.

E questo è il caso migliore, perché poi si passa alle firme totalmente false. Di morti, di gente ignara, o di persone mai esistite. La sussistenza di tale truffa, ripetuta per ogni dove a ogni tornata elettorale, provoca un curioso fenomeno: restano fuori dalle schede le liste delle persone che provano a rispettare la legge. Grandioso. Come si rimedia? Cambiando la legge e cancellando l’ipocrisia. Un buon sistema è quello adottato in altre democrazie: al momento della presentazione delle liste, per le quali non si richiedono firme, si deposita una cauzione, soldi, poi, all’esito delle elezioni, chi ha preso almeno l’1% dei voti (anche se non ha conquistato alcun seggio) se ne va sconfitto, ma riprende i soldi, chi ha affollato la scheda senza che neanche i congiunti intendessero votarlo, ce li rimette. L’obiezione è: così solo chi ha soldi presenta la lista. Respinta: solo chi ha soldi dispone dell’organizzazione per la raccolta. Si tratta di un sistema onesto e meno oneroso, quindi si cambi la legge.

Seconda questione: quale giurisdizione è competente? Il caos regna sovrano, come dimostra il caso piemontese, dove il tribunale amministrativo si ridesta a seguito di una sentenza penale, posto che, in ogni momento, possono sollevarsi conflitti d’attribuzione. Oltre tutto, come appunto accaduto, con la sentenza di un tribunale che influisce sulla decisione dell’altro. Un caos che partorisce il mostro di annullamenti con quattro anni di ritardo. Un caos certo non limitato alle questioni elettorali, ma endemico in un Paese con troppe leggi, troppe giurisdizioni, troppi tribunali e troppi magistrati. La soluzione: l’interesse prevalente è quello della regolarità democratica, che viene prima dell’accertamento di eventuali responsabilità penali, quindi si stabilisca che i ricorsi avverso irregolarità elettorali si discutono subito, entro tre mesi, presso una Corte preposta (la Corte d’appello), quel giudizio è poi inappellabile. Non perché sia necessariemente giusto, ma perché è certamente sbagliato tenersi parlamenti e assemblee di cui non si conosce la legittimità. Se, poi, il tribunale penale accerta che il Tale ha commesso dei falsi noi tutti speriamo che sconti la giusta pena. Disincentiva più questo che altro.

Terzo e ultimo aspetto: ci rendiamo conto che mentre il Tar piemontese annulla le elezioni, dovendosi ancora pronunciare il Consiglio di Stato, l’intero nostro Parlamento è insediato sulla base di una legge elettorale incostituzionale? Né vale la scusa che gli atti della giunta deponenda sono comunque legittimi, così come quelli fin qui compiuti dal Parlamento, perché non solo non consola, ma semmai allarma. Così procedendo si demolisce la credibilità democratica, posto che i cittadini votanti erano veri. Qui la soluzione consiste nel varare una nuova legge elettorale. Tema caldo da tanto di quel tempo che ha un permanente gusto di riscaldato. Non entro nel merito, anche per noia di doversi ripetere inutilmente. Mi limito a osservare che un Parlamento in trepidante attesa delle motivazioni con cui la Corte costituzionale motiverà la bocciatura della vecchia legge, in modo da farsi dettare la direzione di marcia, è un Parlamento in tremolante attesa di perdere ogni dignità.

Confesso, infine, di attendere anch’io, con curiosità, quelle motivazioni, perché m’intriga non poco sapere in quale articolo della Costituzione hanno trovato l’obbligo che ci siano le preferenze. Ho sempre l’impressione che la copia di cui dispongo sia stata stampata solo per depistarmi.

Pubblicato da Libero

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