Nel fango di Messina sprofonda l’Italia istituzionale, ma anche quella civile. Si misurano le colpe della politica, ma anche quelle dei cittadini. La tragedia ed i morti chiamano, prima di ogni altra cosa, il soccorso. Quel che è successo, però, non era solo prevedibile e previsto, poteva non solo essere evitato, è anche
l’incredibile conseguenza d’incoscienza e scarso senso civico, purtroppo ritortisi contro gli stessi che li avevano praticati.
Costruire una casa sul letto di un fiume, metterla a valle di una montagna che può venire giù, non è solo abusivismo, è follia. Chi lo ha fatto ha violato le leggi, certo, ma lo ha fatto sentendosi furbo, immaginandosi dinamicamente capace di cogliere un’occasione, di approfittare dell’inerzia pubblica. Non si tratta (solo) di speculatori, spesso sono cittadini che hanno costruito la propria casa. Nessuno di loro è stato sfiorato dal dubbio che le leggi non sono la prepotenza della politica, la voce di un padrone lontano, l’imposizione di un potere ingiusto, ma anche le regole della convivenza civile e della salvaguardia colletiva. A parità di costo, quindi, quei cittadini avevano una casa più grande e più bella, con una più vasta vista. Poi è piovuto. Sì, molto, intensamente, ma non era il diluvio universale. Pioveva. E le case si sono sciolte, il vango ha invaso le altre. Ora, molti dicono: lo Stato non sia assente, investa nelle opere pubbliche che fermino la montagna. Ma lo Stato, se fosse stato presente, avrebbe dovuto demolirle, quelle case, non metterle in sicurezza.
Ma chi è, lo Stato? E’ il personale politico che il popolo elegge, i rappresentanti che gli elettori si scelgono. Il qualunquismo biascicante è sempre pronto a prendersela con la “politica”, con la “società”, con “loro”. Pongo, invece, una semplicissima domanda: quante speranze d’essere eletto ha chi, in quelle terre come in tanta parte d’Italia, si proponga di far rispettare la legge, di combattere l’abusivismo, di fermare gli abusivi? La risposta è: nessuna. E’ fregato in partenza, perché non potrà promettere favori, se non collettivi, non potrà difendere interessi, se non generali, non potrà rivolgersi ai tanti che chiedono, ma solo ai giovani che in questo mondo dovranno vivere. Quindi non sarà scelto, non sarà votato. I voti se li contenderanno quelli che difenderanno gli abusivi perché interpreti di una certa libertà personale, e quelli che li difenderanno perché si deve andare incontro a chi ha bisogno di un tetto, alle famiglie che hanno trovato una sistemazione. Saranno eletti i migliori rappresentanti di questo egoismo diffuso, sarà scelta una classe politica che somiglia terribilmente al volto abusivo della cittadinanza. Dopo di che, è arrivata la pioggia. Oggi dicono: tutti sapevano. Certo, e tutti lo volevano. Nessuno voleva morire, naturalmente, ma questo non era stato messo nel conto.
Gli abusivi, ad un certo punto, cessano di essere tali, approfittando di un qualche condono. Si sana la parte amministrativa, si mettono a posto le carte bollate. Ma che succede, se piove? Viene giù tutto. Come era già successo e come succederà ancora, qui come ovunque ci si è sentiti furbi nel violare le regole e le leggi.
Poi, c’è l’altra faccia della medaglia, che è pur sempre la stessa: regole poco chiare, burocrazia da infarto, tempi interminabili, responsabilità confuse. La politica ha imbozzolato la propria impotenza nel malcostume collettivo. Una mano lava l’altra, ma nessuna salva la vita. Sicché, il cittadino che le leggi le rispetta non riesce a muovere neanche un vaso da fiori, mentre quello che se ne frega edifica una villa. Così prende corpo, davanti agli occhi di tutti, l’irresponsabilità di chi pensa per sé e snobba gli altri, salvo affondare nei propri errori e chiedere soccorso.
Si spezza il cuore, vedendo le immagini che oggi arrivano da Messina. Ma non ne usciremo mai se non saremo capaci di spezzare questo modo di pensare ed i suoi rappresentanti. L’Italia ha bisogno di leggi ferme e fermezza nel farle rispettare. L’alternativa, cercatela sotto al fango.