Politica

Il fantasma bipolare

Gli italiani inseguono un bipolarismo che non c’è, se non come fantasma di quel che sarebbe potuto essere. C’è lucidità, nei comportamenti dell’elettorato, e saggezza. Ma manca la politica, manca la risposta e la conseguenza, sicché sembra si stia tutti partecipando ad una seduta spiritica. La storia narra di una medium, che, come spesso capita a tal tipo di dotati, era una truffatrice: faceva incontrare le anime dei morti, mostrandone anche le fattezze. Artificio e suggestione, cui seguiva generosa donazione. La polizia fece irruzione, dopo le denunce, e la trovò al lavoro, con clienti attavolinati e intenti a parlare con i loro trapassati. Pretendeva d’arrestarla, ma quelli, troncati nel dialogo cimiteriale, chiesero un leggero posticipo: lasciateci finire. L’illusione, insomma, è consolatoria e dura a morire.
Il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello uninominale e tendenzialmente (solo tendenzialmente) maggioritario, risale al 1993, e porta il nome non di un rivoluzionario bipolarista, ma dell’allora direttore de Il Popolo, quotidiano della Democrazia Cristiana, Sergio Mattarella. Non serviva per consegnare l’Italia al novero (inesistente) delle democrazie bipolari, ma per consegnare il governo ai comunisti, alleati con la sinistra democristiana. Fu in quel frangente che Silvio Berlusconi girò la frittata, ciucciando via le uova di chi già aveva fatto la bocca alla vittoria. Il bipolarismo italico nasce lì, nel 1994, e consiste nell’essere pro o contro Berlusconi. Chi è pro lo adora, e chi è contro è scemo, perché fa il suo gioco.
La sinistra si berlusconizzò in fretta, e con quella ricetta, grazie alla faccia di Romano Prodi, vinse due volte. La formula era semplice: lui ha coalizzato tutti quelli che sono contro la sinistra, mettendo assieme roba incompatibile, noi coalizziamo tutti quelli che sono contro di lui. E’ stato il quindicennio degli insaccati, che ora ci pesa un tantinello sul fegato.
La legge elettorale è stata, poi, ulteriormente modificata, introducendo il premio di maggioranza che, va da sé, favorisce il bipolarismo. Dal punto di vista meccanico ha funzionato, mentre i risultati sono abbastanza miserevoli. Il perché è semplice, nonché previsto: il nostro sistema istituzionale non è concepito per far governare chi vince, ma per consentire agli altri di controllarlo ed imbrigliarlo. Se non mettiamo mano a quello, le altre riforme sono mera ginnastica elettorale.
Dopo quindici anni di trasformismi e proclami guerreschi il tessuto politico è a dir poco sfilacciato, producendo o propagandisti senza idee, o affaristi, o incapaci allo stato puro. Ciascuno selezionato secondo il meglio della propria categoria. Eppure le scelte elettorali degli italiani restano sagge, attraversate da una lunga coerenza moderata. Se si disaggregano i risultati e si sommano i voti raccolti dai riformisti non esaltati si arriva alla larga maggioranza. Ma sono divisi ed ostaggio degli estremisti. Questa è l’altra faccia del bipolarismo italiota: il dominio delle minoranze.
Nel 2008 nacquero due partiti “unici”, che sarebbero dovuti essere l’antidoto a questa sbobba. Nel 2009 sono già morti, e neanche in modo indolore. Ma se si sondano gli umori degli italiani, come ha fatto Ipsos per Il Sole 24 Ore, si scopre che lo spettacolo non fa fuggire verso le alternative, ammesso che siano tali un Pierferdinando Casini o un Antonio Di Pietro (figure che non accosto, per rispetto verso il primo), bensì cresce la domanda di bipolarismo. Come quei signori seduti con la medium truffatrice, che prima di vederla ingabbiata le chiedono di contattare in fretta la zia defunta.
Non so se il sondaggio fotografi con precisione la realtà, ma non è poi così rilevante, giacché comunque la grande maggioranza dei voti si deposita nei due grandi contenitori con travagliata identità. Quell’indicazione, però, è utile, perché segnala che è ora di finirla con la politica-non politica, con l’illusione che le partite storiche si giochino in tribunale e quelle economiche in una banca. La politica è importante, è il sistema nervoso di un Paese, ed ha bisogno di (almeno) tre elementi: a. idee sul destino collettivo; b. conoscenza dei meccanismi istituzionali; c. capacità di mediare e costruire il consenso. Con uno solo, di questi, puoi diventare un idealista sparascemenze, o un traffichino ben vestito, o un demagogo incosciente. Abbiamo già dato. E’ ora di tornare alla politica.

Condividi questo articolo